Mostro, folle, matto
Come ci ricorda Pierre Magnard, filosofo, nel suo bel
dialogo-conversazione con Eric Fiat “La couleur du matin profond”
(Paris, Les dialogues des petits Platons, 2013, p.112) , un tempo,
precisamente nel 1500, era “la prigione a far funzione (le veci, se si
vuole) dell’ospedale psichiatrico”: lo ricorda a proposito di
Michel Montaigne che volle andare a trovare Torquato Tasso quando “era
uscito di senno”, ma aggiunge, giustamente, che, per es. il grande
chirurgo di quell’epoca, Ambroise Paré, parlava del “Mostro” (quale era
considerato e viene tuttora considerato il “folle” o il “matto”, nelle
differenti versioni e gradazioni…) non certo come inumano, come
“su-umano”, ma come “prodigio” (uno dei significati di “monstrum” in
latino…), come “manifestazione dell’onnipotenza divina” (op.cit.,
ibidem), un essere che ha, in quanto tale, diritto a tutte le cure
possibili da parte degli altri esseri umani. Se si pensa a questa
considerazione, peraltro presente anche precedentemente (nell’antichità
il “folle” era spesso il vaticinante, il “paragnosta”, nel Medioevo si
parlava del “folle di Dio”, in molte culture non occidentali il “folle”,
ma anche il “matto”, più popolarmente inteso è apparentato e
apparentabile allo sciamano), ne constatiamo l’abissale distanza con la
concezione della psichiatria attuale, che lo considera elemento da
“sorvegliare e punire” (Foucault), da escludere e rinchiudere. Ecco
allora ancora una volta sconfermate le famose “magnifiche sorti e
progressive” (espressione usata in chiave apologetica da Terenzio
Mamiani e virata al negativo dal più intelligente cugino Giacomo
Leopardi).
Eugen Galasso
tratto da : http://centro-relazioni-umane.antipsichiatria-bologna.net
Nessun commento:
Posta un commento