La legge regola due istituti di coercizione: l'A.S.O.
(accertamento sanitario obbligatorio) e il T.S.O. (trattamento sanitario obbligatorio).
Il Sindaco può emanare l'ordinanza di TSO nei confronti di
un libero cittadino solo in presenza di due certificazioni mediche che
attestino che:
1. la persona si trova in una situazione di alterazione tale da necessitare
urgenti interventi terapeutici;
2. gli interventi proposti vengono rifiutati;
3. non è possibile adottare tempestive misure extraospedaliere.
Le tre condizioni di cui sopra devono essere presenti
contemporaneamente e devono essere certificate da un primo medico (che può
essere il medico di famiglia, ma anche un qualsiasi esercente la professione
medica) e convalidate da un secondo medico che deve appartenere alla struttura
pubblica. La legge non prevede che i due medici debbano essere psichiatri.
Le certificazioni oltre a contenere l'attestazione delle
condizioni che giustificano la proposta di TSO, devono essere motivate nella
situazione concreta. In altre parole non dovrebbero essere ammesse
certificazioni che si limitano alla mera enunciazione delle tre condizioni, né
tantomeno prestampati. Così come non dovrebbero essere prese in considerazione
certificazioni che si limitano alla sola indicazione della diagnosi. In realtà
l'uso di prestampati è una prassi comune accettata dai sindaci e dai giudici
tutelari che dovrebbero vigilare sul rispetto delle procedure e delle garanzie
previste dalla legge. (Nella sezione sentenze
trovate alcune decisioni della magistratura che ratificano l'obbligo di
motivare i TSO in maniera sostanziale e non meramente formale).
Ricevute le certificazioni mediche, il sindaco ha 48 ore per
disporre, tramite un'ordinanza, il trattamento sanitario obbligatorio facendo
accompagnare la persona dai vigili urbani presso un reparto psichiatrico di
diagnosi e cura (SPDC). In genere il reparto è scelto secondo la disponibilità
dei posti, ma in teoria la legge fornisce il diritto alla persona di scegliere
il reparto dove essere ricoverati. Va sottolineato comunque che il TSO può
essere realizzato solo in questi reparti. Qualsiasi altro ricovero in una
qualsiasi altra struttura psichiatrica o sociale, indipendentemente dalle
modalità con cui avviene, è da considerarsi sempre ricovero volontario. Nessuno
può essere trattenuto contro la sua volontà presso nessuna di queste strutture
e, in SPDC, ciò è possibile solo in presenza di un provvedimento di TSO.
Un capitolo importante in questa fase, non ancora approfondito
e affrontato dal movimento antipsichiatrico, è quello della notifica del TSO a
chi vi è sottoposto. In altre parole, come fa un cittadino a difendersi
legalmente rispetto ad un atto di cui non è a conoscenza? E ancora, come si fa
a sapere quando si è obbligati alle cure e quando invece abbiamo ogni diritto
legale di rifiutarle? In genere le persone si orientano a naso nelle
situazioni. Se si è fuori, è la presenza dei vigili urbani che ci fa supporre
di essere in TSO; se si è già ricoverati, volontari o meno, ci si fa capire
subito che non abbiamo alcun diritto e dobbiamo sottostare alle cure senza
avere possibilità di andarcene o di rifiutarle.
La notifica del provvedimento va richiesta nel momento in
cui qualcuno ci impone di seguirlo, di assumere una terapia, di entrare in un
reparto. In assenza di tale provvedimento, infatti, ogni azione di coazione nei
nostri confronti può essere denunciata come reato penale. Restano fuori le
situazioni in cui può essere invocato l'art. 56 del codice penale sullo stato
di necessità ("non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato
costretto dalla necessità di salvare sé o d altri dal pericolo attuale di un
danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né
altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo). Negli
altri casi possono ravvisarsi gli estremi di violenza privata, sequestro di
persona...
Pur se la legge non dispone esplicitamente l'obbligo di tale
notifica, lo stesso è connaturato alla
natura stessa del provvedimento. Il TSO infatti è un provvedimento di
limitazione della libertà personale (necessita infatti, come vedremo, della
convalida dell'autorità giudiziaria) e ha la forma giuridica dell'ordinanza
sindacale che, come sappiamo, acquista efficacia in ragione della notifica ai
soggetti interessati (si pensi alle ordinanze di sgombero....). Ciononostante
non ci risulta che tale obbligo venga soddisfatto da nessuno dei Sindaci
italiani che emanano provvedimenti di TSO. Da qui la campagna del Comitato
d'Iniziativa Antipsichiatrica che rivendica, fra gli altri, il diritto alla
notifica del TSO a chi vi è sottoposto.
Una volta che il sindaco ha emanato il provvedimento di TSO,
e esso ci è stato notificato, possiamo essere condotti presso uno dei reparti
di psichiatria (SPDC - servizio psichiatrico diagnosi e cura) funzionanti
presso gli ospedali generali. In nessun caso possiamo essere condotti contro la
nostra volontà in altre strutture psichiatriche sia pubbliche che private
(reparti universitari, comunità alloggio, Comunità etc.).
Il Sindaco ha l'obbligo di inviare il provvedimento di TSO
al Giudice Tutelare (entro le 48 ore successive al ricovero) per la necessaria
convalida. Il Giudice Tutelare, assunte le informazioni del caso, convalida il
provvedimento entro le 48 ore successive. La mancata convalida da parte del
Giudice Tutelare del provvedimento fa decadere automaticamente il TSO.
L'esperienza maturata negli anni ci dice che il Giudice
Tutelare raramente esercita la sua funzione di controllo sui TSO. In genere si
limita ad un controllo "formale", verificando se la documentazione è
completa e se sono stati rispettati i tempi di notifica del provvedimento etc.
In realtà detto controllo potrebbe avere effetti più incisivi se i Giudici
Tutelari esercitassero concretamente i loro poteri di convalida (vedi a
proposito la sentenza del pretore di torino).
Una volta ricoverati in TSO presso il servizio psichiatrico
i nostri diritti (primo fra tutti quello alla libertà di movimento e di scelta)
vengono limitati e siamo obbligati a subire gli interventi degli operatori del
reparto.Anche in questa situazione di coazione manteniamo una serie di diritti
inalienabili.
1) Possiamo fare ricorso al Sindaco contro il TSO. Questa
possibilità, oltre che all'interessato, è allargata a "chiunque vi abbia
interesse" (quindi anche amici, familiari, associazioni...). Il Sindaco
deve rispondere entro 10 giorni. Fatto paradossale se si pensa che il TSO dura
di norma 7 (sette) giorni, eventualmente prorogabili di 7 giorni in 7 giorni.
Se presentiamo ricorso entro le 48 ore successive al ricovero, è conveniente
mandarne copia al Giudice Tutelare per attivarne l'azione di controllo. In caso
di risposta negativa, il ricoverato può presentare richiesta di revoca
direttamente al Tribunale, chiedendo al contempo la sospensione immediata del
TSO e delegando una persona di sua fiducia per rappresentarlo in giudizio
davanti al Tribunale.
2) Seppure non possiamo rifiutare le cure, abbiamo senzaltro
diritto di essere informati sulle terapie che ci sono somministrate e di poter
scegliere su un ventaglio di proposte diverse. In ogni caso, è conveniente, ove
le terapie somministrateci ci risultino particolarmente invasive, presentare al
responsabile del reparto una dichiarazione di diffida ai sanitari rispetto alla
somministrazione di terapie che si ritengano lesive, chiedendo che venga
inserita nella nostra cartella clinica.
3) Anche se ci viene fatto credere il contrario, il TSO non
giustifica la contenzione o la violenza fisica ai danni di chi vi è sottoposto.
L'uso della forza deve essere sempre legato alle esigenze terapeutiche e non
travalicare il rispetto della dignità e dell'integrità fisica della persona.
Non è quindi legalmente ammissibile l'uso punitivo della contenzione, le
violenze fisiche e verbali degli infermieri, l'essere legati per un periodo
superiore a quello necessario alla somministrazione di una terapia... Queste
situazioni vanno e possono essere denunciate alla magistratura.
4) Abbiamo diritto di comunicare con chi riteniamo
opportuno. In questo senso non è ammissibile una selezione da parte del
personale dei soggetti autorizzati a entrare in contatto con noi. Ciò è molto
importante perché gli operatori tendono a limitare l'accesso a coloro che
possono darci una mano a praticare i nostri diritti. In questo senso è
importante per coloro che sono a rischio di TSO rivolgersi alla sede di
telefono viola più vicina e sottoscrivere la Procura contro i trattamenti
psichiatrici coatti e l'elettroshock. La procura è un atto con il quale
affermiamo le nostre volontà rispetto alle cure psichiatriche e diamo mandato
ai soci del Telefono Viola di farle valere.
Il TSO, come abbiamo detto, ha la durata di 7 giorni. Alla
scadenza il responsabile del reparto deve comunicare al Sindaco se ritiene
necessario prorogare il trattamento obbligatorio. In caso contrario la persona
viene dimessa, oppure il suo ricovero viene trasformato in 'volontario'.
La proroga del TSO avviene attraverso tutti i passaggi di
cui abbiamo già parlato (ordinanza del sindaco, convalida del giudice
tutelare). Anche nel caso di proroga, va richiesta la notifica per evitare di
rimanere rinchiusi in reparto pur risultando formalmente volontari.
Aldilà di quello che ci lasciano a volte credere, nessuno
'firma' per la nostra scarcerazione, né è necessario che qualcuno ci accompagni
o si prenda la 'responsabilità' per noi. Chi viene ricoverato (o si ricovera)
in psichiatria non è una persona incapace e interdetta, per cui mantiene tutti
i diritti e doveri di qualsiasi altro utente della struttura sanitaria. Una
volta venuto meno il TSO, per scadenza dei termini, revoca o altro, possiamo chiedere
di essere dimessi in ogni momento e tale richiesta non può essere disattesa
senza integrare gli estremi di reato del sequestro di persona.