Riportiamo un articolo del Corriere della Sera a firma Paolo Riva, tratto da http://www.ristretti.org Non amiamo diffondere e riprendere link di media mainstream, ma se arrivano persino loro a rilevare tematiche di questo tipo possiamo immaginare quanto l'entità della questione sia molto più alta e pressante...
Il fenomeno della contenzione meccanica è ancora troppo diffuso nei
reparti. La campagna nazionale contro i lacci per i malati e la bozza
del governo per superare la pratica.
Elena Casetto, Giuseppe Casu, Franco Mastrogiovanni, e, ultimo in
ordine di tempo, Wissem Ben Abdellatif. Sono tutte persone la cui morte è
collegata alla pratica della contenzione meccanica. Casetto è deceduta a
causa di un incendio divampato nel reparto di psichiatria dell'ospedale
di Bergamo, dove era ricoverata, legata. Casu, all'ospedale di
Cagliari, è mancato dopo essere stato bloccato per sette giorni.
All'ospedale di Vallo della Lucania, Mastrogiovanni è morto nel letto al
quale era stato legato per 87 ore. Infine, lo scorso novembre, il
cittadino tunisino da poco arrivato in Italia Ben Abdellatif è morto
dopo essere stato contenuto per molte ore, sia all'ospedale di Ostia sia
al San Camillo di Roma. Questi casi sono i più gravi, ma la pratica è
molto diffusa in Italia. E, proprio per i suoi effetti negativi, in
molti chiedono che venga superata.
In concreto, la contenzione meccanica utilizza dei messi fisici, come
lacci e cinture, per limitare i movimenti di una persona. Viene
utilizzata per prevenire danni fisici al paziente stesso o ad altre
persone, e il personale sanitario che sceglie di servirsene dovrebbe
usarla solo in situazioni di emergenza, come ultima risorsa. Eppure,
stimava nel 2013 un articolo scientifico dello psichiatra Vittorio
Ferioli, "nei reparti psichiatrici per acuti, in Italia, avvengono in
media 20 contenzioni ogni 100 ricoveri".
Se consideriamo che, secondo gli ultimi dati disponibili relativi al
2019, i ricoveri in psichiatria sono stati 96.510 in un anno, non si
tratta di pochi casi. Secondo il Comitato nazionale di bioetica, però,
"la contenzione rappresenta in sé una violazione dei diritti
fondamentali della persona" e, per questo, deve avvenire solo "in
situazioni di reale necessità e urgenza, in modo proporzionato alle
esigenze concrete, utilizzando le modalità meno invasive e per il tempo
necessario al superamento delle condizioni che abbiano indotto a
ricorrervi".
Il Comitato si è espresso sulla questione nel 2015, ma lo scorso
dicembre è intervenuta sul tema anche la Corte Europea dei diritti
dell'uomo. Grazie al ricorso di un quattordicenne che venne legato al
letto per sette giorni, il tribunale ha messo per la prima volta sotto
sorveglianza l'Italia su questa pratica, imponendo al governo di
rispondere a dei quesiti sul fenomeno e sull'esistenza o meno di
protocolli. Una sentenza della Corte potrebbe portare a quel che, da
tempo, chiede "...e tu Slegalo subito", la campagna nazionale per
l'abolizione della contenzione meccanica in psichiatria promossa dal
Forum Salute Mentale e sostenuta da numerose realtà della società
civile.
"L'uso delle fasce, dei letti di contenzione, sopravvissuto alla
chiusura dei manicomi, è la prova più chiara e scandalosa di quanto sia
ancora viva l'immagine del matto pericoloso. In molti dei luoghi della
cura si lega ma si fa di tutto per non parlarne. Salvo quando capita
l'incidente". Come quelli drammatici di Casetto, Casu, Mastrogiovanni e
Ben Abdellatif.
Eppure, esistono realtà che riescono a curare i pazienti senza
bisogno di legarli. Dal 2006, in Italia, opera il Club Spdc- No
Restraint che riunisce i Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (Spdc,
appunto) che non usano la contenzione e tengono aperte le porte dei loro
reparti. Le adesioni sono ventuno e vanno da Trento a Grosseto, da
Terni a Matera, da Caltanisetta a Ravenna, Parma, Modena e Mantova.
Senza contare Trieste, la città in cui operò Franco Basaglia.
Proprio in Friuli-Venezia Giulia, lo scorso novembre si è tenuto un
convegno degli Spdc- No Restraint. L'iniziativa, intitolata "Verso
servizi liberi da contenzione" è stata organizzata tra Trieste e
Gorizia, una scelta simbolica, dal momento che fu proprio a Gorizia, nel
1961, che Basaglia pose il problema delle persone legate in manicomio.
Il rivoluzionario psichiatra si rifiutò di avvallare con la propria
firma di medico questa pratica. "E mi no firmo", disse, dando idealmente
il via al percorso che portò nel 1978 alla legge 180, cui si deve la
chiusura dei manicomi. Oltre quarant'anni dopo, la contenzione è
considerata da più parti come "un residuo" di quella "cultura
manicomiale" che la 180 voleva superare. A farlo definitivamente,
potrebbe contribuire una bozza di accordo stilata dal Ministero della
Salute, per il "definitivo superamento della contenzione meccanica in
tutti luoghi della salute mentale in un triennio". Il documento contiene
sette raccomandazioni: è stato redatto a giugno e ora si attendono i
pareri di Comuni e Regioni.
Pazienti nelle psichiatrie? Troppi quelli che sono legati. "Diritti violati una volta su 5" |
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