mercoledì 28 aprile 2021

Il paradigma non farmacologico in aumento per il trattamento delle “psicosi”

 Segnalato da Collettivo Artaud:
 

fonte:
https://mad-in-italy.com
Il paradigma non farmacologico in aumento per il trattamento delle “psicosi”

In questo video, Robert Whitaker esamina le evidenze scientifiche che richiedono un cambiamento radicale o un cambio di paradigma basato sull’evidenza nell’assistenza psichiatrica e descrive progetti pilota che raccontano un nuovo modo di affrontare la sofferenza psichica.

https://www.youtube.com/watch?v=2SGxEGOrno4

A partire dagli anni ’80, la nostra società ha organizzato il proprio pensiero e i propri sistemi di cura attorno a una narrazione del “modello di malattia” promosso dall’American Psychiatric Association e dall’industria farmaceutica (modello organicista o bio-medico).
Quella narrativa è crollata. . . le diagnosi nel DSM non sono state convalidate come reali malattie; il peso della “malattia mentale” nella nostra società è aumentato e c’è un crescente corpo di prove che racconta di come gli psicofarmaci, a lungo termine, aumentano la cronicità dei disturbi psichiatrici.
Il crollo di quel paradigma biologico od organicista offre un’opportunità per un cambiamento radicale.
In Norvegia, il ministero della salute ha ordinato che il trattamento “senza farmaci” sia messo a disposizione dei pazienti psichiatrici nelle strutture ospedaliere.
È stato aperto un ospedale privato in Norvegia che cerca di aiutare i pazienti cronici a ridurre gradualmente gli psicofarmaci o ad essere trattati senza il loro uso.
In Israele, sono sorte numerose case “Soteria”, che forniscono cure residenziali a pazienti psicotici e riducono al minimo l’uso di antipsicotici in tali contesti.
La ricerca su Hearing Voices Networks (Movimento degli uditori di voci) sta fornendo prove della loro “efficacia” nell’aiutare le persone a riprendersi.
Il trattamento di Dialogo aperto (Open dialogue), che è stato sviluppato nel nord della Finlandia e ha comportato la riduzione al minimo dell’uso di antipsicotici, è stato adottato in molti contesti negli Stati Uniti e all’estero”.

https://www.youtube.com/watch?v=2SGxEGOrno4

Marco Tenni ucciso sotto casa sua

 riceviamo e pubblichiamo:
Ala (Trento): GLI UNICI ALIENI SONO I CARABINIERI

https://radiocane.info/ala-trento-alieni-carabinieri/

Ala (Trento), 9 aprile 2021: i carabinieri inseguono fin sotto casa un
uomo, reo di non essersi fermato a un posto di blocco. L’uomo reagisce e i carabinieri gli sparano. Così perde la vita Matteo Tenni, di 44 anni. La vicenda sarebbe già di per sé agghiacciante. Tuttavia, nello specifico, l’episodio è aggravato dal fatto di svolgersi in un paese di poche migliaia di abitanti, in cui le forze dell’ordine conoscevano bene l’uomo in questione e sapevano benissimo che era seguito dai servizi psichiatrici…

Salerno. Giovane di Sarno morto in OPG, assolti medico e guardia penitenziaria

 fonte:www.ristretti.it

di Nicola Sorrentino

 

Il Mattino, 22 aprile 2021

 

Sono stati assolti i due imputati in servizio nel carcere di Secondigliano, un medico e una guardia penitenziaria, accusati di omicidio colposo per la morte di A.E., suicida in cella il 19 giugno 2013. Il ragazzo morì nell'ospedale psichiatrico dov'era ricoverato, dopo essere stato in precedenza a Villa Chiarugi a Nocera Inferiore e ancora presso l'opg di Aversa, a causa di diverse segnalazioni per eventi critici. "Dalle indagini espletate è emerso che il decesso è stato causato da un atto volontario mediante impiccagione", così recitò il referto. La sentenza di assoluzione esclude responsabilità per i due imputati.

La Procura aveva presentato una prima richiesta di archiviazione, seguita da una successiva opposizione presentata dal legale dei familiari dell'uomo, l'avvocato Vincenzo Calabrese, fino al processo a carico dei due imputati disposto dal gup al termine dell'udienza preliminare. Il giovane di Sarno, affetto da problemi psichici, si sarebbe tolto la vita volontariamente nel carcere di Secondigliano, a 29 anni. La famiglia aveva chiesto chiarezza su quanto fosse accaduto quel giorno in carcere. Il ragazzo aveva piccoli precedenti penali alle spalle. Fu trasferito nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa, in precedenza.

Per uccidersi avrebbe usato i pantaloni del pigiama, per poi legarli al cancello della cella dove era recluso, da solo. Nell'ipotesi iniziale della Procura, vi erano presunti e mancati accorgimenti e controlli da parte dei due imputati, parte del personale della struttura, senza controllo utile a prevenire atti autolesionistici del giovane. Le condizioni della detenzione avrebbero aggravato le sue condizioni, con il passare del tempo. Le motivazioni dei giudici, una volta depositate, meglio faranno comprendere i dettagli della sentenza di assoluzione per i due imputati.

Salerno. Giovane di Sarno morto in carcere, assolti medico e guardia penitenziaria PDF Stampa

Comunicato Collettivo Artaud sui fatti del reparto di Psichiatria di Livorno

 << Le nostre strade sono sconnesse,
I nostri figli ridotti in schiavitù ,
i nostri cuori senza amore.
Ho paura di restare. >>

Terra de Bandidos  di Elena Casetto


Dopo aver appreso dalla stampa della morte di un paziente ricoverato nel reparto di psichiatria dell’ospedale di Livorno, il collettivo Antonin Artaud di Pisa, attivo da quindici anni nell’ascolto e nella vicinanza nei confronti di chi ha subito e vissuto lo stigma della malattia mentale, che troppo spesso si traduce in abusi anche durante il proprio percorso terapeutico, esprime cordoglio e vicinanza alla famiglia e agli affetti più cari. Il nostro augurio è quello che su questa vicenda, di cui alcuni aspetti non sono affatto chiari, si possa fare luce quanto prima.

Abbiamo deciso di aprire questo nostro intervento partendo da un componimento poetico, già premiato, di Elena Casetto. Il 13 agosto 2019, nel reparto psichiatrico dell'ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo è divampato un incendio di cui non si conoscono ancora le cause. Elena, che aveva 19 anni, è morta bruciata viva nel letto al quale era stata legata: la contenzione non le ha permesso di fuggire. Ad oggi per quel terribile evento sono indagati solo i due addetti della ditta che aveva in appalto il servizio antincendio dell’ospedale. Un identico episodio era già accaduto nel Manicomio Giudiziario di Pozzuoli, quando Antonia Bernardini morì per le ustioni riportate dopo l'incendio che l'aveva avvolta nel letto di contenzione al quale anche lei era stata legata ininterrottamente per 43 giorni. Il collettivo Antonin Artaud ha anche seguito la vicenda umana e giudiziaria del Maestro più alto del mondo: il 4 agosto del 2009 Francesco Mastrogiovanni è morto per edema polmonare dopo 4 giorni di contenzione, legato per più di 87 ore consecutive nel reparto di psichiatria dell’Ospedale di Vallo della Lucania in provincia di Salerno. Era ricoverato in TSO, trattamento sanitario obbligatorio che si è scoperto poi essere stato effettuato in maniera illegale e senza il rispetto delle procedure previste dalla legge 180. Mastrogiovanni, sedato e legato con delle fascette ai polsi e alle caviglie, è rimasto senza mangiare, senza bere e senza che nessuno gli parlasse o si preoccupasse delle sue condizioni di salute per tutto il tempo del ricovero. Il medico del reparto ha negato perfino alla nipote il diritto di fargli visita in ospedale. La Sentenza della Corte di Cassazione sul caso Mastrogiovanni ha definito l’uso della contenzione meccanica un presidio restrittivo della libertà personale che non ha né una finalità curativa né produce l’effetto di migliorare le condizioni di salute del paziente.

Possiamo testimoniare che nei reparti psichiatrici ospedalieri o SPDC (Servizi Psichiatrici Diagnosi e Cura) continua a prevalere un atteggiamento custodialistico e un impiego sistematico di pratiche e dispositivi manicomiali come l’obbligo di cura, le porte chiuse e le grate alle finestre, il sequestro dei beni personali, la limitazione e il controllo delle telefonate e di altre relazioni e abitudini, il ricorso alla contenzione meccanica e farmacologica.
Dunque, oggi nei reparti psichiatrici si continua a morire di contenzione meccanica, sia in regime di degenza che durante le procedure di TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio).
La contenzione non è un atto medico e non ha alcuna valenza terapeutica: è un evento violento e dannoso per la salute mentale e fisica di chi la subisce; offende la dignità delle persone e compromette gravemente la relazione terapeutica. Solo in 15 reparti viene praticata la terapia no restraint, la contenzione è stata abolita e le porte sono aperte.

Ricerche condotte in Europa hanno fatto emergere l’esistenza di un gran numero di reparti psichiatrici ospedalieri aperti, in contraddizione con quanto rilevato nel nostro Paese dove circa l’80% degli SPDC prevede porte d’ingresso chiuse a chiave e il ricorso quotidiano alla contenzione. Già nella metà dell’Ottocento lo psichiatra inglese Conolly sosteneva la necessità e la possibilità di una no restraint psychiatry, una psichiatria che non ricorre a mezzi di contenzione. Ancora oggi invece, contenzione meccanica e farmacologica sono praticate diffusamente nei reparti psichiatrici e nelle strutture che ospitano persone anziane e/o non autosufficienti. Denunciamo inoltre come l’impossibilità di fare visita alle persone ricoverate in ospedale a causa dell’emergenza sanitaria in corso abbia reso complicato poter verificare le condizioni di chi si trova in stato di degenza. Difficoltà che riguarda non solo i familiari e gli amici ma anche gli operatori e le strutture sanitarie stesse. Questo avviene quando proprio, anche a causa di tale situazione emergenziale, il ricorso al ricovero in reparto psichiatrico si è fatto più frequente. Ma in nessun caso la carenza di personale e di strutture può giustificare il ricorso a pratiche coercitive. Obbligare una persona al ricovero, limitarne la libertà personale per sottoporla a pratiche violente e dannose, costituisce, oltre che un intollerabile abuso, un’amara beffa: la logica dei “motivi di sicurezza”, dello “stato di necessità” o delle “persone aggressive” a cui sovente si fa appello nei reparti, deve essere respinta poiché fondata sul pregiudizio, purtroppo ancora assai diffuso e duro a morire, di una potenziale pericolosità della persona sofferente psicologicamente.
Nell’aprile del 2016 la Regione Toscana ha approvato una mozione in merito al divieto della pratica della contenzione negli SPDC regionali, che impegnava la Giunta Regionale “a provvedere a emanare disposizioni puntuali alle aziende sanitarie per il divieto di pratiche di contenzione meccanica” e “a promuovere buone pratiche attivando la commissione per il monitoraggio e l’eliminazione della contenzione meccanica, farmacologica, ambientale e delle cattive pratiche assistenziali”. Visto il protrarsi ancor oggi in Toscana delle pratiche di contenzione meccanica, non ci sembra che tale mozione sia stata applicata, e tuttavia ci si appella ai protocolli che ancora la prevedono ignorando quanto già conquistato in ambito di riconoscimento della dignità delle persone ricoverate.

Molti ritengono, per atteggiamento culturale o per formazione, che sia ovvio sottoporre le persone diagnosticate come malate mentali a mezzi coercitivi, che ciò sia nell’ordine delle cose, che corrisponda al loro stesso interesse. Forse chi condivide questa opinione non considera adeguatamente, sia in termini esistenziali che giuridici, il valore imprescindibile della libertà della persona. Valore tanto più rilevante quanto più attinente a libertà minime, elementari e naturali, come la libertà di movimento. Sappiamo, per le molte esperienze ormai fatte, che è possibile evitare la contenzione; occorre allora chiedersi perché la contenzione sia tuttora lecita, e soprattutto occorre superarla.

L’applicazione del TSO non autorizza in alcun modo il ricorso a pratiche di coercizione. C’è sempre un’alternativa, è possibile fare a meno della contenzione meccanica senza sostituirla con quella farmacologica o ambientale. Ribadiamo la necessità di proibire, senza alcuna eccezione, la contenzione meccanica nelle istituzioni sanitarie, assistenziali e penitenziarie italiane. Continueremo a lottare con forza contro ogni dispositivo manicomiale coercitivo: TSO, obbligo di cura, elettroshock, contenzione. Il superamento e l’abolizione della contenzione e delle pratiche lesive della libertà personale è possibile.

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud-Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org - www.artaudpisa.noblogs.org
335 7002669 via San Lorenzo 38 Pisa

Psichiatria Livorno, l'ex direttore: "Paziente morto legato al letto" „

Psichiatria Livorno, la denuncia dell'ex direttore: "Pazienti legati ai letti, ormai è una procedura standard da quando c'è il Covid "

fonte:www.livornotoday.it

La lettera di Mario Serrano, ex responsabile dei servizi di Salute mentale di Livorno: "Malgrado la legge 180, sono tornate le contenzioni. E un paziente sarebbe addirittura morto dopo una settimana con le fascette

Psichiatria Livorno, l'ex direttore: "Paziente morto legato al letto"

Riceviamo e pubblichiamo integralmente la lettera dell'ex responsabile dei servizi di Salute mentale di Livorno, Mario Serrano, in merito alla situazione attuale del reparto di Psichiatria dell'ospedale di Livorno. 

"Il senso di questa lettera è in una semplice domanda: cos'è oggi il reparto di Psichiatria di Livorno? Premetto che ho iniziato a fare lo psichiatra ad Arezzo nel 1980. Per 15 anni ho poi diretto il servizio di Martina Franca, in Puglia. Dal 1997 al 2017, per 20 anni, ho avuto la responsabilità dei servizi di Salute mentale di Livorno. Per quanto da quattro anni sia ormai in pensione, non posso rimanere indifferente. La scorsa settimana un collega di un'altra USL toscana mi ha telefonato per avere una conferma su una voce che circola sulla morte per polmonite (non connessa a Covid) di un paziente della Val di Cornia che, ricoverato in psichiatria a Livorno, sarebbe rimasto contenuto al letto per una settimana. Gli ho risposto che non ne sapevo niente. Il giorno dopo ho ricevuto un messaggio di costernazione dal presidente dell'Associazione dei Familiari, che aveva appreso la notizia in questione da un intervento al seminario online della Consulta della Salute Mentale.

martedì 20 aprile 2021

Riappropriati della tua mente. Raccolta di scritti su disagio psichico e critica alla civilizzazione

da: https://anarcoqueer.wordpress.com

 

Scarica la versione lettura: Riappropriati della tua mente
Scarica la versione stampa: Riappropriati della tua mente_imposed

Raccolta di scritti su disagio psichico e critica alla civilizzazione
All’interno dei movimenti che cercano di contrastare questo sistema pare quasi un tabù parlare del malessere o del disagio mentale come di qualcosa che ci riguarda o ci può riguardare da vicino, e conseguentemente di possibili modi di gestirlo che si differenzino da quelli offerti dalla medicina moderna. Un necessario pezzo di critica all’istituzione psichiatrica che non sia soltanto un attacco all’istituzione in sé e ai suoi precetti ma che esplori anche possibili percorsi differenti rispetto a come affrontare i propri demoni interiori e prendersi cura del proprio caos emotivo in autonomia o con il supporto delle persone amiche che si hanno attorno. I testi qui presentati vogliono essere un punto di partenza per iniziare ad affrontare questa discussione così necessaria

domenica 11 aprile 2021

STIGMI, CONTAGI E SINDEMIE

di Chiara Gazzola

 uscito sul numero di aprile di “Sicilia Libertaria”, segnalato da Artaud.

STIGMI, CONTAGI E SINDEMIE

“Salute mentale”, abuso concettuale in uno slalom di tesi utile a definirne la
carenza: le condizioni esistenziali che si discostano da un ipotetico equilibrio
psicofisico di adattamento alle difficoltà. Si evita così di scalfirne le cause,
poiché significherebbe puntare il dito alle iniquità sociali. E così non si guarda
il dito, né si considera cosa stia segnalando, ma lo si penalizza registrandolo
come “indicatore” (sintomo) di patologia.
I diversi approcci alla disciplina psichiatrica sembrano concordi nel definire la
salute come il risultato fra stile di vita, condizioni socio-ambientali e capacità
individuale di risposta a eventi esterni. Eppure non esiste protocollo sanitario
che prenda in considerazione questa complessità di fattori.
Se si rompe un tubo dell’acqua in una casa costruita su un terreno franoso, chi
trae vantaggio nell’aggiustare il tubo? La salute, intesa come un insieme di
risposte organiche, sensoriali e sociali, è quindi argomento di riflessioni
filosofiche o antropologiche ma, se la politica le sovrasta, qualsiasi squilibrio
rimane appannaggio esclusivo dell’industria farmacologica che non ha interesse
a rimuovere i divari sociali causa di tanti malesseri.
Nel frattempo la psichiatria si concentra sulla denominazione dei disturbi. Fatta
la diagnosi, esclusivamente attraverso un’osservazione clinica soggettiva e non
comprovata da test oggettivi, si passa alla cura.
E quale occasione più ghiotta della pandemia per “scoprire” nuove sindromi?
Le prime pubblicazioni in era covid individuavano risposte patologiche come
varianti del DSPT (disturbo da stress post traumatico).
Lo scorso agosto la rivista scientifica Brain, behavior and Immunity informava
che l’infiammazione da covid-19 è un fattore di rischio per la depressione.
L’ampia gamma di molecole antidepressive e ansiolitiche è una voce prevalente
del fatturato farmacologico: come avrebbe potuto l’invadenza del virus non
andare a braccetto con una delle “malattie” più diffuse al mondo?
Uno studio dell’Ospedale San Raffaele di Milano condotto su 402 pazienti
guariti dal covid afferma che il 56% manifesta disturbi psichici multipli: DSPT
28%, depressione 31%, ansia 42%, insonnia 40%, sintomi ossessivo-compulsivi
20%; le sindromi depressive compaiono più facilmente nelle donne e si ipotizza
che la maggiore vulnerabilità sia dovuta al “diverso funzionamento del sistema
immunitario nelle sue componenti innate e adattive”.
Il XII Congresso nazionale SINPF (società italiana di neuropsicofarmacologia),
stando ai report recenti di vari quotidiani, rileva che l’aumento dei disagi
psichici in era di pandemia stia attivando una vera e propria sindemia, un mix di
pericolo clinico e sociale dovuto alla paura del contagio, allo stress da
confinamento e alla crisi economica. Un contagio nel contagio? La probabilità
di sviluppare sintomi depressivi nei soggetti colpiti dal virus, o da lutti in famiglia, aumenterebbe di 5 volte e così si legittima la previsione di 800mila nuove pazienti, con un’aspettativa di incidenza fino al 32%! L’incremento di
vendite di psicofarmaci interesserebbe donne e adolescenti, in quanto categorie
maggiormente colpite da perdita di lavoro e di socialità.
Per l’OMS (organizzazione mondiale di sanità) “la tutela della salute mentale è
una priorità correlata alla pandemia in atto”, mostrandosi preoccupata per i
nuovi disturbi “erroneamente inclusi nei DSPT”. Nasce quindi l’esigenza di
nuove nomenclature per meglio definire uno “stress individuale/comunitario e
non convenzionale, sospeso, subacuto, perdurante e perturbante che può
evolvere in persistente”. Viene spiegato che le definizioni di “perturbante e non
convenzionale” descrivono una sofferenza che va a dissestare il futuro: la
percezione di furto del futuro come nuova condizione clinica! Uno stress che
attraversa varie fasi: la prima, incredulità e sottovalutazione difensiva; la
seconda, l’incredulità si trasforma in angoscia all’evidenza di malati e morti; la
terza, perdite affettive e insicurezza economica, riducendo la plasticità adattiva
e l’istinto di sopravvivenza, innescano la paura del fallimento. Ma l’OMS
individua anche un nuovo agente patogeno: la infodemia. Trattasi dell’eccesso
di informazioni e del rimbombo di commenti da cui siamo invasi. Altro
contagio nel contagio: le notizie a contenuto angosciante e contraddittorio
produrrebbero lesioni bisognose di cure da somministrare a chi ne soffre, non
certamente a chi alimenta questo giornalismo!
Uno studio condotto dall’Università di Oxford, e pubblicato da The lancet
psychiatry, afferma che a 90 giorni dal contagio da covid nel 20% dei casi
insorgono disturbi al sistema nervoso centrale e che i soggetti in cura
psichiatrica sono più esposti (65% dei casi) a contrarre il virus. Se ne deduce:
“queste evidenze stanno convincendo sempre di più i ricercatori che esiste una
stretta correlazione fra le malattie psichiche e il virus”.
L’IEUD (istituto europeo per il trattamento delle dipendenze) ha registrato, nel
primo semestre 2020, un aumento del 4% del consumo di benzodiazepine.
L’AIFA (agenzia italiana del farmaco) riporta che nel 2020 la vendita di
ansiolitici si è incrementata del 12%, dati definiti “allarmanti” in quanto non
corrispondono alle diagnosi stilate: gli psicofarmaci vengono definiti
“pericolosi se presi senza prescrizione medica”. Si individuano le cause dei
nuovi malesseri nel telelavoro, nella didattica a distanza, nelle restrizioni agli
spostamenti, nella paura del contagio, nella precarietà economica, nel rischio di
essere considerati “untori”.
Ecco innescata una spirale velenosa affinché la psichiatria possa continuare a
mettere le sue toppe mediche a problematiche sociali e ad accaparrarsi la facoltà
di diagnosi/cura/controllo, di produrre stigmi (questi sì, reali e persistenti!), di
annullare le dignità individuali e di farsi paladina di una salute mentale tanto
millantata, quanto svilita: uscire dal labirinto le sarebbe controproducente!

Chiara Gazzola