<< Le nostre strade sono sconnesse,
I nostri figli ridotti in schiavitù ,
i nostri cuori senza amore.
Ho paura di restare. >>
Terra de Bandidos di Elena Casetto
Dopo aver appreso dalla stampa della morte di un paziente ricoverato nel
reparto di psichiatria dell’ospedale di Livorno, il collettivo Antonin
Artaud di Pisa, attivo da quindici anni nell’ascolto e nella vicinanza
nei confronti di chi ha subito e vissuto lo stigma della malattia
mentale, che troppo spesso si traduce in abusi anche durante il proprio
percorso terapeutico, esprime cordoglio e vicinanza alla famiglia e agli
affetti più cari. Il nostro augurio è quello che su questa vicenda, di
cui alcuni aspetti non sono affatto chiari, si possa fare luce quanto
prima.
Abbiamo deciso di aprire questo nostro intervento partendo da un
componimento poetico, già premiato, di Elena Casetto. Il 13 agosto 2019,
nel reparto psichiatrico dell'ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo è
divampato un incendio di cui non si conoscono ancora le cause. Elena,
che aveva 19 anni, è morta bruciata viva nel letto al quale era stata
legata: la contenzione non le ha permesso di fuggire. Ad oggi per quel
terribile evento sono indagati solo i due addetti della ditta che aveva
in appalto il servizio antincendio dell’ospedale. Un identico episodio
era già accaduto nel Manicomio Giudiziario di Pozzuoli, quando Antonia
Bernardini morì per le ustioni riportate dopo l'incendio che l'aveva
avvolta nel letto di contenzione al quale anche lei era stata legata
ininterrottamente per 43 giorni. Il collettivo Antonin Artaud ha anche
seguito la vicenda umana e giudiziaria del Maestro più alto del mondo:
il 4 agosto del 2009 Francesco Mastrogiovanni è morto per edema
polmonare dopo 4 giorni di contenzione, legato per più di 87 ore
consecutive nel reparto di psichiatria dell’Ospedale di Vallo della
Lucania in provincia di Salerno. Era ricoverato in TSO, trattamento
sanitario obbligatorio che si è scoperto poi essere stato effettuato in
maniera illegale e senza il rispetto delle procedure previste dalla
legge 180. Mastrogiovanni, sedato e legato con delle fascette ai polsi e
alle caviglie, è rimasto senza mangiare, senza bere e senza che nessuno
gli parlasse o si preoccupasse delle sue condizioni di salute per tutto
il tempo del ricovero. Il medico del reparto ha negato perfino alla
nipote il diritto di fargli visita in ospedale. La Sentenza della Corte
di Cassazione sul caso Mastrogiovanni ha definito l’uso della
contenzione meccanica un presidio restrittivo della libertà personale
che non ha né una finalità curativa né produce l’effetto di migliorare
le condizioni di salute del paziente.
Possiamo testimoniare che nei reparti psichiatrici ospedalieri o SPDC
(Servizi Psichiatrici Diagnosi e Cura) continua a prevalere un
atteggiamento custodialistico e un impiego sistematico di pratiche e
dispositivi manicomiali come l’obbligo di cura, le porte chiuse e le
grate alle finestre, il sequestro dei beni personali, la limitazione e
il controllo delle telefonate e di altre relazioni e abitudini, il
ricorso alla contenzione meccanica e farmacologica.
Dunque, oggi nei reparti psichiatrici si continua a morire di
contenzione meccanica, sia in regime di degenza che durante le procedure
di TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio).
La contenzione non è un atto medico e non ha alcuna valenza terapeutica:
è un evento violento e dannoso per la salute mentale e fisica di chi la
subisce; offende la dignità delle persone e compromette gravemente la
relazione terapeutica. Solo in 15 reparti viene praticata la terapia no
restraint, la contenzione è stata abolita e le porte sono aperte.
Ricerche condotte in Europa hanno fatto emergere l’esistenza di un gran
numero di reparti psichiatrici ospedalieri aperti, in contraddizione con
quanto rilevato nel nostro Paese dove circa l’80% degli SPDC prevede
porte d’ingresso chiuse a chiave e il ricorso quotidiano alla
contenzione. Già nella metà dell’Ottocento lo psichiatra inglese Conolly
sosteneva la necessità e la possibilità di una no restraint psychiatry,
una psichiatria che non ricorre a mezzi di contenzione. Ancora oggi
invece, contenzione meccanica e farmacologica sono praticate
diffusamente nei reparti psichiatrici e nelle strutture che ospitano
persone anziane e/o non autosufficienti. Denunciamo inoltre come
l’impossibilità di fare visita alle persone ricoverate in ospedale a
causa dell’emergenza sanitaria in corso abbia reso complicato poter
verificare le condizioni di chi si trova in stato di degenza. Difficoltà
che riguarda non solo i familiari e gli amici ma anche gli operatori e
le strutture sanitarie stesse. Questo avviene quando proprio, anche a
causa di tale situazione emergenziale, il ricorso al ricovero in reparto
psichiatrico si è fatto più frequente. Ma in nessun caso la carenza di
personale e di strutture può giustificare il ricorso a pratiche
coercitive. Obbligare una persona al ricovero, limitarne la libertà
personale per sottoporla a pratiche violente e dannose, costituisce,
oltre che un intollerabile abuso, un’amara beffa: la logica dei “motivi
di sicurezza”, dello “stato di necessità” o delle “persone aggressive” a
cui sovente si fa appello nei reparti, deve essere respinta poiché
fondata sul pregiudizio, purtroppo ancora assai diffuso e duro a morire,
di una potenziale pericolosità della persona sofferente
psicologicamente.
Nell’aprile del 2016 la Regione Toscana ha approvato una mozione in
merito al divieto della pratica della contenzione negli SPDC regionali,
che impegnava la Giunta Regionale “a provvedere a emanare disposizioni
puntuali alle aziende sanitarie per il divieto di pratiche di
contenzione meccanica” e “a promuovere buone pratiche attivando la
commissione per il monitoraggio e l’eliminazione della contenzione
meccanica, farmacologica, ambientale e delle cattive pratiche
assistenziali”. Visto il protrarsi ancor oggi in Toscana delle pratiche
di contenzione meccanica, non ci sembra che tale mozione sia stata
applicata, e tuttavia ci si appella ai protocolli che ancora la
prevedono ignorando quanto già conquistato in ambito di riconoscimento
della dignità delle persone ricoverate.
Molti ritengono, per atteggiamento culturale o per formazione, che sia
ovvio sottoporre le persone diagnosticate come malate mentali a mezzi
coercitivi, che ciò sia nell’ordine delle cose, che corrisponda al loro
stesso interesse. Forse chi condivide questa opinione non considera
adeguatamente, sia in termini esistenziali che giuridici, il valore
imprescindibile della libertà della persona. Valore tanto più rilevante
quanto più attinente a libertà minime, elementari e naturali, come la
libertà di movimento. Sappiamo, per le molte esperienze ormai fatte, che
è possibile evitare la contenzione; occorre allora chiedersi perché la
contenzione sia tuttora lecita, e soprattutto occorre superarla.
L’applicazione del TSO non autorizza in alcun modo il ricorso a pratiche
di coercizione. C’è sempre un’alternativa, è possibile fare a meno
della contenzione meccanica senza sostituirla con quella farmacologica o
ambientale. Ribadiamo la necessità di proibire, senza alcuna eccezione,
la contenzione meccanica nelle istituzioni sanitarie, assistenziali e
penitenziarie italiane. Continueremo a lottare con forza contro ogni
dispositivo manicomiale coercitivo: TSO, obbligo di cura, elettroshock,
contenzione. Il superamento e l’abolizione della contenzione e delle
pratiche lesive della libertà personale è possibile.
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud-Pisa
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