fonte: http://www.ristretti.org
di Monia Sangermano
"Il sovraffollamento degli Istituti Penitenziari è decisamente
migliorato: si è passati dal 20,3% al 6,6%, per l'assenza di arresti nel
periodo del lockdown". La pandemia di Covid-19 ha colpito anche le
carceri, provocando diversi effetti. Fortunatamente i casi di Covid-19
sono stati sporadici e non particolarmente critici.
"Dopo le proteste iniziali e gli inevitabili timori che le carceri
divenissero una polveriera, le norme previste dal Dpcm dell'8 marzo per
gli istituti penitenziari hanno consentito di limitare i contagi: i casi
sintomatici dei nuovi ingressi sono stati posti in isolamento; i
colloqui si sono tenuti in modalità telematica; sono stati limitati i
permessi e la libertà vigilata" evidenzia il Prof. Sergio Babudieri,
Direttore Scientifico SIMSPe - Società Italiana di Medicina e Sanità nei
Penitenziari - Tuttavia, con questa seconda ondata il virus si è
diffuso in diversi ambiti, ben oltre ospedali e RSA che erano stati i
principali incubatori del virus in primavera: di conseguenza, adesso
qualsiasi nuovo detenuto va in un'area di quarantena e viene sottoposto a
tutti i consueti protocolli, secondo un filtro analogo ai triage degli
ospedali".
"Tra le conseguenze della pandemia emergono anche dati positivi -
aggiunge il Prof. Babudieri - Il tema cronico del sovraffollamento, che
costituiva una minaccia proprio per una potenziale diffusione del Covid,
è invece andato incontro a un notevole miglioramento: si è passati dal
20,3% al 6,6%, poiché non vi è stato il normale turn over dovuto
all'assenza di arresti nel periodo del lockdown. Più precisamente, al 31
gennaio 2020 nei 190 istituti penitenziari italiani vi era una capienza
di 50692 (dati ufficiali del Ministero della Giustizia) e 60.971
detenuti presenti, con un surplus quindi di 10.279, pari al 20,3%.
Adesso a fronte di una capienza di 50.574 posti letto, i detenuti
effettivi sono 53921, con un sovraffollamento sceso a 3347, ossia il
6,6%, mostrando dunque un calo radicale. Questo però deve imporci
controlli sempre più accurati, perché la popolazione ristretta è
praticamente tutta suscettibile al Coronavirus ed in più in questo
ambito sappiamo come sia cronicamente elevata la circolazione di altri
virus, in particolare epatici come HCV. Ne consegue che in questa nuova
fase dell'epidemia Covid divenga mandatoria l'esecuzione dei test
combinati Hcv/Covid nei 190 Istituti Penitenziari Italiani".
Il Covid-19 ha evidenziato, accanto alla pandemia, un'altra emergenza
sanitaria: quella della salute mentale. Depressione, ansia e disturbi
del sonno, durante e dopo il lockdown, hanno accompagnato e stanno
riguardando più del 41% degli italiani. Le persone rinchiuse nelle
carceri costituiscono soggetti particolarmente vulnerabili: secondo dati
noti, circa il 50% dei detenuti era già affetto da questo tipo di
disagi prima della diffusione del virus. Erano frequenti dipendenza da
sostanze psicoattive, disturbi nevrotici e reazioni di adattamento,
disturbi alcol correlati, disturbi affettivi psicotici, disturbi della
personalità e del comportamento, disturbi depressivi non psicotici,
disturbi mentali organici senili e presenili, disturbi da spettro
schizofrenico.
"Il problema psichiatrico o quantomeno quello del disagio mentale è
diventato una delle questioni più gravi del sistema penitenziario
italiano - sottolinea il Presidente Simspe Luciano Lucanìa - In sede
congressuale abbiamo avuto un confronto su questo tema delicato con i
contributi di accademici, direttori di penitenziari, medici specialisti
che lavorano alla psichiatria territoriale e operatori attivi nel
sistema penitenziario stesso.
È evidente come la pandemia di Covid e soprattutto i primi mesi
abbiano reso queste problematiche ancora più evidenti. Nelle ultime
settimane la situazione è diventata ancora più complessa. Non esistono
soluzioni pronte e preconfezionate, ma noi di Simspe crediamo che sia
necessario per gli operatori, per la comunità carceraria, per i decisori
politici, far presente limiti, problemi, prospettive e chiedere
soluzioni. Da una parte si devono integrare i servizi del territorio e i
servizi del carcere; dall'altra serve un sistema carcerario che sia in
grado di affrontare autonomamente questo tipo di problemi".
Il ruolo dell'infermiere nell'ambito penitenziario è centrale,
sebbene spesso non venga messo a fuoco a sufficienza. In virtù del
Decreto 739 del 1994, l'infermiere è colui che si occupare dei servizi
assistenziali. Tuttavia, rappresenta una figura chiave perché è
insignito di una responsabilità che va oltre quella sanitaria, poiché
coinvolge la sicurezza personale di tutti coloro che lavorano in
carcere. Da una parte, infatti, lavora in equipe con i medici;
dall'altra, ha rapporti anche con altre figure, come gli educatori,
toccando così anche gli aspetti sociali oltre a quelle sanitari.
"Come gruppo infermieristico di Simspe stiamo sviluppando diverse
ricerche che permettano di valorizzare la figura dell'infermiere e di
ottimizzarne il contributo - evidenzia Luca Amedeo Meani, Vice
Presidente Simspe - Uno studio riguarda l'azione del Covid
sull'operatività dell'infermiere: il Moral Distress (Disagio Morale)
degli infermieri era preoccupante e si è aggravato in questi mesi. I
dati emersi mostrano un livello molto elevato rispetto ai parametri
mediani di valutazione e spesso coinvolgono ragazzi che avevano solo tre
o quattro anni di esperienza in servizio.
Da qualche settimana stiamo integrando lo studio con item che
riguardano il Covid. In secondo luogo, stiamo portando avanti anche
un'analisi che riguarda la gestione Rischio Clinico, che permette di
determinare in modo scientifico quali potrebbero essere le misure
correttive per abbassare i rischi da un livello potenzialmente elevato a
uno standard accettabile. Questo lavoro del Gruppo infermieristico
Simspe è iniziato prima della pandemia e ha aiutato molto nella
prevenzione del Covid: l'assenza di casi gravi e il mancato diffondersi
della pandemia in questi ambienti è stato anche grazie a questo sistema
di prevenzione e di analisi del rischio".