Carcere di Pozzale diventa una Rems, Pavese: “Una scelta illogica”
E
quindi un carcere (fra l’altro struttura d’eccellenza a detta degli
addetti ai lavori) si trasformerà in Rems. Questo è quanto deciso per
mettere in atto una legge, quella sul superamento degli Opg, che già era
fatta male ma che viene applicata ancora peggio. La decisione di
trasformare il carcere femminile di Empoli in Rems per ospitare i
pazienti psichiatrici dell’ex Opg di Montelupo è una decisione priva di
ogni logica: si parla di strutture sanitarie di recupero e poi si
trasferiscono i pazienti in strutture carcerarie, come di fatto è la
Rems di Volterra, che ho personalmente visitato, anche se solo
dall’esterno, che ovviamente non basta più per ospitare i degenti
toscani e delle altre regioni “convenzionate”. E perché? Perché chi ha
fatto la legge sul superamento degli Opg ( amministratori di maggioranza
montelupini, che negli anni hanno fatto viaggi e viaggi ai ministeri
romani per fornire preziose consulenze, compresi) ha fatto una legge
demagogica e dettata dall’ideologia del recupero sociale a tutti i costi
che poi si è scontrata con la dura realtà. Ma invece di rimediare,
magari cambiando la legge, ripristinando una sorveglianza almeno
perimetrale della polizia penitenziaria alle Rems, si prendono strutture
carcerarie o se ne trasformano altre in mini carceri (come Volterra),
affidandosi, per la sicurezza, a un sistema territoriale di pubblica
sicurezza, già in difficoltà. Aggiungendo altri lavoratori di polizia
penitenziaria da dover ricollocare sul territorio. Unica nota positiva
della futura Rems di Empoli: le competenze del personale sanitario della
nostra Asl, che saranno sicuramente d’aiuto nella delicata gestione
della situazione. Ma il tutto non giustifica un’improvvisazione
attuativa che poteva essere evitata, mantenendo la Rems toscana nelle
sezioni montelupine, ristrutturate con fior di milioni di finanziamenti
pubblici.
Grazie ad Artaud per la segnalazione, fonte: (gonews.it)
venerdì 29 luglio 2016
domenica 10 luglio 2016
Gli antidepressivi, deprimono
fonte: http://lantipsichiatria.blogspot.it/ e La Stampa Salute
In alcuni casi gli antidepressivi, non solo possono rendere più depressi, ma possono causare anche gravi effetti indesiderati come ictus e morte prematura
Gli psicofarmaci antidepressivi si assumono proprio per combattere la
depressione, se però si rischia di veder addirittura peggiorare i
sintomi, e avere in più difficoltà digestive, allora forse c’è qualcosa
che non va. Ed è quello che hanno scoperto i ricercatori della canadese
McMaster University.
Gli investigatori hanno voluto indagare
sugli effetti dei cosiddetti farmaci inibitori selettivi della
serotonina o SSRI, che hanno il preciso compito di gestire i livelli di
serotonina nel cervello in modo che la persona si “senta bene”.
Tuttavia, proprio la gestione della serotonina si può dimostrare un’arma
a doppio taglio in quanto questo ormone agisce in aree del cervello e
del corpo in modi differenti.
Ciò che i ricercatori guidati dallo
professor Paul Andrews hanno scoperto è che livelli di serotonina
alterati dai farmaci possono produrre tutta una vasta gamma di effetti
indesiderati, anche gravi.
Tra questi si va dai più “semplici”
problemi digestivi ai più seri come difficoltà sessuali, aborto
spontaneo, ictus e morte prematura negli anziani. «Dobbiamo essere molto
più cauti nei confronti dell’uso diffuso di questi farmaci», ha
commentato a tale proposito il dottor Andrews.
Dai risultati dello studio, pubblicati su Frontiers In Evolutionary Psychology,
si scopre che la ricerca ha suggerito fin dal principio che certi
farmaci offrono pochi benefici per la maggior parte delle persone
affette da depressione lieve e moderata, mentre offrono un aiuto attivo
solo ad alcuni tra i più gravemente depressi. Si parla addirittura di
effetti positivi più marcati con l’uso di un placebo.
La chiave di
tutto ciò sta proprio nella serotonina e negli effetti che produce la
sua alterazione, sottolinea Andrews. E sempre i livelli alterati di
questo ormone che possono spiegare il motivo per cui i pazienti possono
spesso finiscono per sentirsi ancora più depressi dopo aver terminato un
ciclo di cura con i farmaci SSRI.
Secondo Andrews gli
antidepressivi SSRI interferiscono con il cervello, lasciando il
paziente vulnerabile a una depressione di “rimbalzo” che speso si
presenta con intensità ancora maggiore rispetto a prima.
Pertanto, a
seguito di una sospensione dai farmaci SSRI «dopo un uso prolungato, il
cervello compensa riducendo i livelli di produzione di serotonina – fa
notare Andrews – Questo cambia anche il modo in cui i recettori nel
cervello rispondono alla serotonina, rendendo il cervello meno sensibile
a questa sostanza».
Allo stato attuale, i ricercatori ritengono che
detti cambiamenti siano temporanei, tuttavia diversi studi suggeriscono
che gli effetti indesiderati possono permanere fino a due anni.
Sebbene
i casi di ricaduta non siano esclusivi e ascrivibili soltanto ai
farmaci SSRI, ma possono mostrarsi con tutte le classi di farmaci
antidepressivi, i ricercatori ritengono che il rischio sia decisamente
maggiore con gli SSRI.
Oltre a ciò, i farmaci SSRI possono interferire con tutti i processi fisici che di norma sono regolati dalla serotonina.
Per
esempio, la maggior parte di questa sostanza la ritroviamo
nell’intestino. Ed è altresì utilizzata per controllare la digestione,
formare dei coaguli di sangue nei punti di cicatrizzazione e anche
regolare la riproduzione e la crescita. Ecco dunque che un farmaco che
interferisce con la serotonina può causare problemi di sviluppo nei
bambini, problemi sessuali e nello sviluppo degli spermatozoi negli
adulti. Come accennato si possono verificare anche problemi digestivi,
stipsi, diarrea, indigestione e gonfiore. Infine, non sono da
sottovalutare un possibile sanguinamento anormale ed eventi
cardiovascolari come l’ictus nei pazienti anziani, conclude Andrews.
domenica 3 luglio 2016
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