La questione genetica è diventata di fondamentale importanza
nel mondo in cui viviamo. Dal completamento della mappatura del genoma umano ad
oggi, non passa mese senza che venga pubblicato uno studio sull’importanza
dei geni nello sviluppo di certe caratteristiche umane. Se è indiscutibile che
le particolarità fisiche, come il colore degli occhi o la forma del naso,
abbiano una base genetica, il discorso si complica nel momento in cui decidiamo
di addentrarci nella patologia. Alcuni anni fa ho partecipato ad un convegno
tenuto dagli Alcolisti Anonimi e uno dei presenti, dopo aver raccontato la sua
esperienza di alcolista, aveva accennato al fatto che un laboratorio scandinavo
aveva “scoperto” il gene del bevitore. Con tutto il rispetto per il racconto
toccante che aveva preceduto questa dichiarazione, credo però che la
spiegazione genetica sia in questo caso fallace. Non metto in dubbio che un
tale tipo di predisposizione possa esistere, ma è l’ambiente in cui gli
organismi (in questo caso la razza umana) convivono e si scambiano informazioni
a costruire il percorso di vita dell’essere vivente, interagendo attivamente
con esso. Altrimenti non si spiegherebbe perché i problemi di alcolismo non
esistono in quei paesi dove le bevande alcoliche sono severamente vietate e le
trasgressioni punite esemplarmente, vedi ad esempio l’Iran. Eppure anche loro
condividono il patrimonio genetico del resto dell’umanità.
Può sembrare un ragionamento banale, ma se non esiste un
detonatore, anche la bomba più potente del mondo risulta poco più che un
ammasso di ferraglia innocua.
Veniamo ora alla “scienza” psichiatrica. E’ ormai appurato
da vari studi clinici longitudinali su pazienti americani che, nel caso della
schizofrenia, un gemello monozigote ha circa il 50% di possibilità di contrarre
la stessa malattia di suo fratello. Questa percentuale, nettamente più alta
rispetto a fratelli nati da cellule diverse o semplicemente in momenti diversi,
secondo gli psichiatri spiegherebbe la matrice genetica della malattia. Da qui,
il passo seguente è cercare ovunque il gene malato e intervenire chimicamente.
Peccato che certe percentuali possano essere spiegate anche in altri modi,
forse più plausibili. Ad esempio, tutti sanno che nella nostra cultura i
fratelli gemelli vengono trattati all’incirca allo stesso modo dal nucleo
familiare e non solo. Se pensiamo che da piccoli (e in alcuni casi per tutta la
vita) vestono sempre vestiti identici, per gioco si scambiano l’identità,
scherzano con la loro stessa similitudine, non è a mio avviso difficile capire
che la soluzione dell’enigma possa risiedere nel trattamento simile ricevuto
dalle figure di accudimento e non da un gene qualsiasi. Ripeto: qui non si
vuole negare la possibilità che una predisposizione biologica possa esistere,
ma che essa sia la soluzione di tutti i problemi o l’ambito di ricerca
privilegiato per trovare nuove soluzioni a certe malattie. Anche perché, senza
andare per il sottile, il DSM stabilisce quali sono gli item per definire una
persona “schizofrenica”, ma non si è ancora trovato un accordo su cosa sia la
schizofrenia, visto che proprio gli psichiatri pensano che possa essere un
disturbo a largo spettro che accoglie sotto il suo ombrello fino a 70 sottotipi
differenti. Paradossalmente credono di conoscere la causa, ma non la malattia!
Forse se le ricerche riprendessero il solco tracciato negli
anni ’60 da Bateson e in seguito da Laing e Sullivan, potremmo rivalutare le
dinamiche familiari come potenziali atti schizofrenogeni, evitando di cadere in
soluzioni univoche, quasi sicuramente illusorie.
Veronika
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