mercoledì 26 giugno 2013

Sulla questione genetica.



La questione genetica è diventata di fondamentale importanza nel mondo in cui viviamo. Dal completamento della mappatura del genoma umano ad oggi, non passa mese senza che venga pubblicato uno studio sull’importanza dei geni nello sviluppo di certe caratteristiche umane. Se è indiscutibile che le particolarità fisiche, come il colore degli occhi o la forma del naso, abbiano una base genetica, il discorso si complica nel momento in cui decidiamo di addentrarci nella patologia. Alcuni anni fa ho partecipato ad un convegno tenuto dagli Alcolisti Anonimi e uno dei presenti, dopo aver raccontato la sua esperienza di alcolista, aveva accennato al fatto che un laboratorio scandinavo aveva “scoperto” il gene del bevitore. Con tutto il rispetto per il racconto toccante che aveva preceduto questa dichiarazione, credo però che la spiegazione genetica sia in questo caso fallace. Non metto in dubbio che un tale tipo di predisposizione possa esistere, ma è l’ambiente in cui gli organismi (in questo caso la razza umana) convivono e si scambiano informazioni a costruire il percorso di vita dell’essere vivente, interagendo attivamente con esso. Altrimenti non si spiegherebbe perché i problemi di alcolismo non esistono in quei paesi dove le bevande alcoliche sono severamente vietate e le trasgressioni punite esemplarmente, vedi ad esempio l’Iran. Eppure anche loro condividono il patrimonio genetico del resto dell’umanità.
Può sembrare un ragionamento banale, ma se non esiste un detonatore, anche la bomba più potente del mondo risulta poco più che un ammasso di ferraglia innocua.
Veniamo ora alla “scienza” psichiatrica. E’ ormai appurato da vari studi clinici longitudinali su pazienti americani che, nel caso della schizofrenia, un gemello monozigote ha circa il 50% di possibilità di contrarre la stessa malattia di suo fratello. Questa percentuale, nettamente più alta rispetto a fratelli nati da cellule diverse o semplicemente in momenti diversi, secondo gli psichiatri spiegherebbe la matrice genetica della malattia. Da qui, il passo seguente è cercare ovunque il gene malato e intervenire chimicamente. Peccato che certe percentuali possano essere spiegate anche in altri modi, forse più plausibili. Ad esempio, tutti sanno che nella nostra cultura i fratelli gemelli vengono trattati all’incirca allo stesso modo dal nucleo familiare e non solo. Se pensiamo che da piccoli (e in alcuni casi per tutta la vita) vestono sempre vestiti identici, per gioco si scambiano l’identità, scherzano con la loro stessa similitudine, non è a mio avviso difficile capire che la soluzione dell’enigma possa risiedere nel trattamento simile ricevuto dalle figure di accudimento e non da un gene qualsiasi. Ripeto: qui non si vuole negare la possibilità che una predisposizione biologica possa esistere, ma che essa sia la soluzione di tutti i problemi o l’ambito di ricerca privilegiato per trovare nuove soluzioni a certe malattie. Anche perché, senza andare per il sottile, il DSM stabilisce quali sono gli item per definire una persona “schizofrenica”, ma non si è ancora trovato un accordo su cosa sia la schizofrenia, visto che proprio gli psichiatri pensano che possa essere un disturbo a largo spettro che accoglie sotto il suo ombrello fino a 70 sottotipi differenti. Paradossalmente credono di conoscere la causa, ma non la malattia!
Forse se le ricerche riprendessero il solco tracciato negli anni ’60 da Bateson e in seguito da Laing e Sullivan, potremmo rivalutare le dinamiche familiari come potenziali atti schizofrenogeni, evitando di cadere in soluzioni univoche, quasi sicuramente illusorie. 

Veronika

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