martedì 18 giugno 2013

Stregoneria e Follia

intervista di R. jaccard a M. Foucault (anno 1979)

D. Da una ventina d'anni Thomas S. Szasz ha sviluppato il tema delle analogie fondamentali tra la persecuzione degli eretici e delle streghe nei tempì passati e la persecuzione dei folli e dei malati mentali oggi. Questo è il soggetto principale del suo libro, «Fabbricare la follia» (1), che mostra come lo Stato Terapeutico si sia sostituito allo Stato Teologico. Gli psichiatri e, più in generale, gli addetti alla salute mentale sono riusciti a far risorgere l'Inquisizione ed a spacciarla per nuova panacea scientifica. Storicamente, il parallelo tra l'Inquisizione e la psichiatria le sembra fondato?

M.F. Le streghe, queste malate di mente non riconosciute come tali, che una società alquanto sfortunata (perché ancora priva di psichiatri) destinava al rogo ... quando ci si libererà di questo luogo comune che tanti libri ripropongono ancora oggi?
Ciò che vi è di significativo e di « forte » nell'opera di Szasz, è l'aver mostrato che la continuità storica non va dalla strega alla malata, ma dall'istítuzione-stregoneria alla istituzione-psichiatria. La questione non è certo che la strega, con le sue povere fantasticherie e le sue potenze occulte, deve essere finalmente riconosciuta come alienata da una scienza benefica ma ritardataria. Szasz mostra piuttosto che un particolare tipo di potere veniva esercitato attraverso la sorveglianza, gli interrogatori, i decreti dell'Inquisizione e che è ancora lui, per trasformazioni successive, che ci interroga ancora adesso, indaga sui nostri sogni e desideri, si preoccupa delle nostre notti, incalza i nostri segreti e traccia i confini, definisce gli anormali, provvede alle correzioni e assicura le funzioni dell'ordine,
Szasz ha definitivamente, spero, spostato la vecchia questione: gli stregoni erano dei folli? e l'ha posta in questi termini: in che cosa gli effetti di potere legati al lavoro da faina degli inquisitori musi lunghi e denti aguzzi - si ritrovano ancora oggi nell'apparato psichiatrico? « Fabbricare la follia » mi sembra un libro importante nella storia delle tecniche congiunte del potere e del sapere.

D. In « Fabbricare la follia », Thomas Szasz descrive la curiosità insaziabile degli inquisitori verso i fantasmi sessuali e le attività delle loro vittíme - le streghe - e la paragona a quella degli psichiatri. Questo paragone le sembra giustificato?

M.F. Bisognerà pure sbarazzarsi delle « marcusianerie » e delle « reichianerie » che ci hann sempre impacciato e che vogliono farci credere che la sessualità è, fra tutte le cose, quella più ostinatamente « repressa » e « super-repressa » dalla nostra società « borghe"," capitalistica", "ipocrita " e " vittoriana "- Mentre, fin dal Medioevo, non c'e' niente di più studiato, interrogato, capito, illustrato e dibattuto, obbligato alla confessione, sollecitato ad esprìmersi ed encomiato dal momento in cui riesce finalmente a costruire il suo proprio linguaggio. Nessuna civiltà ha conosciuto una sessualità più ciarliera della nostra. E molti credono ancora di comportarsi da sovversivi quando in realtà non fanno che obbedire a questa ingiunzione a confessare, a questa requisitoria secolare che ci costringe, noi altri occidentali, a rivelare tutto del nostro desiderio.
Dall'Inquìsizione, attraverso la penitenza, l'esarne di coscienza, la direzione spirituale, l'educazione, la medicina, l'igiene, la psicanalisi e la psichiatria, si è sempre insinuato che la sessualità custodisse, al di là di noi stessi, una verità profonda e determinante. Dicci qual'è il tuo piacere, non ci nascondere nulla di ciò che passa nel tuo cuore e nel tuo sesso; noi potremo sapere cosa sei e noi ti diremo quello che
vali.
Szasz ha visto bene,credo,che questo mettere « all'ordine del giorno » la questione sessualità non era semplicemente legato all'interesse morboso degli inquisitori sconvolti dal proprio desiderio; ma che con ciò prendeva forma un tipo moderno di potere e di controllo sugli individui. Szasz non è uno storico e può darsi che si possa polemizzare con lui. Ma nel momento in cui il discorso sulla sessualità affascina tanti storici ha un significato senz'altro positivo che uno psicanalista abbia riproposto in termini di storia gli interrogativi su di essa. E le intuizioni di Szasz sono proprio quelle che ben si ricollegano a ciò che rivela il notevole libro di Le Roy Ladurie: « Montaillou » (2).

D. Cosa pensa dell'idea di Szasz secondo la quale per comprendere la psichiatria istituzionale - e tutti i movimenti d'igiene mentale - conviene studiare gli psichiatri e non i pretesi malati?

M.F. Se si tratta di studiare la psichiatria istituzionale, è evidente. Ma io credo che Szasz vada più lontano.
Tutti sognano di scrivere una storia dei folli, tutti sognano di passare dall'altra parte e di mettersi sulle tracce delle grandi evasioni e dei sottili ritratti del delirio. Cosi, col pretesto di mettersi ad ascoltare e di lasciar parlare i folli stessi, si accetta la partizione (partage) come già avvenuta. Sarebbe molto meglio invece piazzarsi nel punto dove il macchinario che assegna qualifiche e squalifiche funziona, mettendo gli uni di fronte agli altri, i folli e i non folli. La follia è una conseguenza del potere quanto e non certo meno della non-follia; non sfreccia attraverso il mondo come una bestia furtiva la cui corsa sarà arrestata dalle gabbie del manicomio. Rappresenta invece, in una spirale senza fine, una risposta tattica a quella tattica da cui è investita. In un altro libro di Szasz, « Il mito della malattia mentale » (3) c'è un capitolo che mi sembra esemplare a questo proposito: l'isteria vi viene analizzata nella sua intima struttura come prodotto del potere psichiatrico, ma anche come la contromossa che ad esso viene opposta e come la trappola in cui cade.

D. Se lo Stato Terapeutico ha sostituito lo Stato Teologico e se la medicina e la psichiatria sono diventate oggi le forme più costrittive e al tempo stesso più subdole di controllo sociale, non sarebbe necessario, in una prospettiva individualista e libertaria come quella di Szasz, lottare per una separazione tra Stato e medicina?

M.F. C'è qui una difficoltà per-me. Mi domando se Szasz non identifichi, in un fondo un po' forzato, il potere con lo Stato.
Questa identificazione può forse spiegarsi con la duplice esperienza di Szasz: esperienza europea, in una Ungheria totalitaria dove tutte le forme e tutti i meccanismi di potere erano gelosamente controllati dallo Stato, ed esperienza in un'America impregnata della convinzione che la libertà inizia là dove finisce l'intervento centralizzato dello Stato. In effetti, io non credo che il potere sia soltanto lo Stato o che il non-Stato sia già la libertà. E' vero (Szasz ha ragione) che i circuiti della psichiatrizzazione, della psicologizzazione, anche se passano attraverso i genitori, i familiari, l'ambiente immediatamente circostante, sono sostenuti sempre alla fine da un vasto complesso medico-amministrativo. Ma il medico « libero » della medicina « liberale », lo psichiatra nel suo studio o lo psicologo nella propria stanza, non rappresentano una alternativa alla medicina istituzionale. Essi fanno parte dello stesso sistema reticolare anche nel caso in cui si pongono al polo opposto di quello dell'istituzione. Tra lo Stato Terapeutico di cui parla Szasz e la medicina in libertà c'è tutto un gioco di sostegni e di rimandi complessi.
L'ascolto silenzioso dell'analista nella sua poltrona non è estraneo al questionario pressante, alla sorveglianza stretta del manicomio. Non penso che si possa attribuire l'aggettivo di «libertaria» - Szasz lo fa? non mi ricordo più - ad una medicina che non è che « liberale », cioè legata ad un profitto individuale che lo Stato protegge, tanto più che per altro verso ne trae vantaggio. Szasz cita giustamente degli interventi anti-statuali di questa medicina liberale ed essi sono stati effettivamente salutari. Ma mi sembra che questo rappresenti l'utilizzazione in versione combattiva - « l'estremizzazione generosa » - di una medicina la cui finalità è comunque quella d'assicurare, insieme allo Stato e addossandosi a lui, il tranquillo corso di una società normalizzatrice. Piuttosto che lo Stato Terapeutico, è la società della normalizzazione, con i suoi ingranaggi istituzionali o privati, che bisogna studiare e criticare. Il libro « Lo Psicanalismo » di Robert Castel (4) mi sembra abbia fatto luce in termini davvero esatti su questa grande trama ininterrotta che va dal triste dormitorio al remunerativo divano

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