martedì 24 settembre 2013

Voci in capitolo...

Quando parliamo con qualcuno che crede fermamente all’esistenza della malattia mentale, che sia psichiatra o meno, alle nostre obiezioni ci sentiamo rispondere puntualmente che noi non abbiamo voce in capitolo perché la psichiatria non l’abbiamo studiata.
Non importa che abbiamo letto decine di libri di psicologia e sociologia, libri contro la psichiatria scritti da alcuni loro colleghi, che abbiamo letto pure dei libri di psichiatria ufficiale (quel tanto che basta per restarne inorriditi), poco importa che nelle decine di definizioni di schizofrenia lette qua e là si trovi descritta ogni sorta di comportamento umano tanto da farci capire che se la psichiatria è una scienza allora siamo tutti schizofrenici ... no, per loro tutto questo non importa.
Il fatto è che non capiscono che la vera questione è un’altra: si può parlare della psichiatria come di una scienza? La cosa più interessante è che per dare una risposta a tale domanda non è necessario conoscere e studiare tutta la psichiatria, ma solo i metodi sui quali sono basati i suoi studi e le sue diagnosi.
Analizzando tali metodi sulla base dell’epistemologia (la filosofia della scienza, ovvero lo scienza del metodo), o anche solo utilizzando un minimo di conoscenza scientifica e un po’ di buon senso, si scopre puntualmente che i metodi psichiatrici hanno ben poco a che vedere con quelli di ogni altro tipo di scienza sia fisica, sia biologica che medica: esemplare a questo riguardo l’esperimento di Rosenham (http://collettivoantipsichiatricocamuno.blogspot.it/2013/06/lesperimento-di-rosenham.html) che ha dimostrato l’impossibilità di diagnosticare la cosiddetta schizofrenia e di distinguere il cosiddetto “malato di mente” dal cosiddetto “soggetto normale” o pseudopaziente. Pseudopaziente: ogni volta che si accorgono o sono costretti ad ammettere che una persona non ha ragione di essere sottoposta alle loro cure, ogni volta che un ex ricoverato riesce a riprendere la sua vita normale al di fuori delle strutture psichiatriche parlano di uno sbaglio, parlano di pseudopaziente, e a loro discolpa dicono che non sempre è facile fare una diagnosi esatta.
Se fossero un po’ più onesti riconoscerebbero invece che non hanno nessun mezzo per distinguere il “malato”, il “diverso”, dal “normale” e che ogni tipo di discriminazione e quindi di diagnosi si riconduce a un giudizio puramente morale e legato quindi al contesto sociale, ai canoni di normalità accettati da una determinata società. Non esistono per la psichiatria infatti metodi scientifici di diagnosi quali le analisi del sangue, i raggi x o altre cose del genere, gli psichiatri “analizzano il comportamento” e basta; come metodo scientifico lascia molto a desiderare non è vero?
D’altronde sarebbe ridicolo asserire che solo gli psichiatri possano giudicare se la loro è una scienza o meno, non sarebbero certo dei giudici imparziali, a parte il fatto che ci sono psichiatri sia in Italia che all’estero che, dopo l’esperienza che hanno fatto, pensano alla psichiatria solo come a uno strumento di repressione.
Quando in Italia si dibatteva sull’energia nucleare i fisici dicevano di essere i soli a poter parlare con cognizione di causa, ma non era molto onesto visto che molti di loro erano interessati ai finanziamenti miliardari per i progetti sul nucleare, e non era neanche vero perché gli unici che in quel caso potevano dare un giudizio obbiettivo erano medici e biologi da una parte, e gli economisti dall’altra, di modo che si potesse fare un bilancio fra la pericolosità delle centrali e il loro rendimento economico.
Il problema con la psichiatria è molto simile, se si lascia gli psichiatri la valutazione sulla psichiatria difficilmente essi sputeranno nel piatto in cui mangiano, a parte i notevoli interessi economici delle industrie farmaceutiche che alla psichiatria sono legate a filo doppio.

fonte: http://www.homolaicus.com/uomo-donna/psyco/12.htm

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