domenica 26 ottobre 2025

DEFINISCI MALTRATTAMENTO

Riceviamo e pubblichiamo da Artaud:

Definisci bambino”: abbiamo ancora nelle orecchie la sciagurata domanda pronunciata dal Presidente dell’associazione Amici di Israele, rivolta durante un dibattito televisivo all’ allibito interlocutore, per giustificare la strage di minori nella Striscia di Gaza.


Queste parole, che producono sdegno e disgusto, possono essere paragonate a quelle pronunciate dall’avvocato Stefano Del Corso, difensore della dottoressa Masoni, durante l’ultima udienza del processo Stella Maris. L’avvocato ha domandato alla giudice e agli astanti di definire la parola “maltrattamenti” in riferimento a quanto accaduto tra le mura della struttura di Montalto di Fauglia. E non era la prima volta! Altri avvocati nel corso del processo avevano provato a sminuire e a derubricare gli efferati atti che sono stati ripresi dalle telecamere dei carabinieri nell’estate del 2016 nel refettorio della struttura. Secondo i legali degli imputati quei 284 episodi di botte, vessazioni, umiliazioni, documentati dalle videocamere in quasi quattro mesi di riprese, non erano maltrattamenti ma un semplice eccesso di mezzi di correzione.

Eppure alcuni genitori quando sono stati chiamati dai carabinieri a vedere per la prima volta le immagini dei propri figli malmenati, strattonati e offesi verbalmente, si sono sentiti male; quando i video sono stati presentati al processo molti astanti sono usciti dall'aula; quando i giornalisti e i tecnici, che hanno prodotto il reportage della Rai sui fatti della Stella Maris, hanno visto quelle immagini le hanno definite “violenze inaudite su soggetti indifesi e quindi meritevoli di una cura ancora maggiore”.

A tutti era parso evidente cosa vuol dire “maltrattamento”, non appariva così complicato definire il termine. Erano bastate le immagini nella loro cruda evidenza, nella loro oggettiva presentazione a spiegare che cosa è un maltrattamento.

Ma per capire il senso di certe affermazioni che sembrano offendere il buon senso, oltreché umiliare ancora una volta i ragazzi e i loro familiari, bisogna riferirsi al codice penale e a quello che esso prescrive. È lì che si gioca la vera partita giudiziaria, è  lì che il termine assume una valenza valoriale. Il maltrattamento secondo il codice penale deve prevedere la presenza di atti abituali o sistematici che cagionano sofferenze fisiche o morali: percosse, violenze fisiche o sevizie; minacce o ingiurie gravi; “Comportamenti ripetuti che arrecano danno morale o psicologico”. Queste condotte devono avere come effetto la sofferenza fisica o morale per la vittima anche senza la presenza di lesioni gravi.

Il reato di maltrattamento ha dunque bisogno, per essere definito tale, della “abitualità”, deve cioè essere ripetuto nel tempo, non configurarsi come un episodio isolato.

Da ciò si capisce perché gli avvocati delle difese abbiano teso a parlare di singoli episodi non sistematici, a fare riferimento a condotte isolate, cercando di dimostrare che i maltrattamenti erano solo buffetti, al limite “eccesso di mezzi di correzione” o “ingiurie”: reati che se venissero accolti come plausibili dalla giudice Messina sarebbero già prescritti da tempo. E tale accoglimento avrebbe dunque l’effetto di ridurre in una bolla di sapone un processo andato avanti per anni con decine di persone implicate tra imputati, parti civili, avvocati, consulenti.


Ma la realtà è un’altra: come aveva scritto il Giudice dell’Udienza Preliminare Giulio Cesare Cipolletta nella sentenza-ordinanza del 2019, dopo soli quattro giorni di riprese i video già documentavano “atti di violenza fisica come schiaffi e strattoni oppure minacce ed ingiurie, poste in essere in maniera del tutto gratuita e senza riferimento a pregresse condizioni dei pazienti”. Col passare del tempo quegli atti reiteratamente compiuti, nell'indifferenza degli operatori che osservavano inerti la scena (a testimonianza di un'abitualità fatta di violenze accettate e condivise,) hanno dimostrato, secondo la requisitoria finale del Pubblico Ministero Pelosi, la presenza di un sistema fortemente radicato.

Nella sua arringa finale il PM ha posto l’accento sulla abitualità delle condotte maltrattanti, sull’atteggiamento indecoroso e poco professionale degli operatori Stella Maris, sul clima di paura che dominava la struttura, sull’omertà che regnava in quelle stanze. Tutto ciò ha reso possibile il fatto che la Stella Maris abbia potuto assumere l’aspetto di una struttura concentrazionaria (cosa peraltro ben esplicitata anche dalla relazione del Perito del tribunale Alfredo Verde) dove la brutalità aveva preso il sopravvento, dove le condotte violente erano sistematiche e non episodiche, reiterate anche di fronte a un pubblico inerte. Cosa è accaduto, ci chiediamo, al di là del refettorio, l'unico luogo dove erano state posizionate le telecamere? Cosa poteva succedere nei bagni, nelle camere, nei corridoi? Non è difficile immaginarlo. Il Pubblico Ministero aveva ben definito come maltrattamenti quelle “condotte plurime rivolte a soggetti indifesi e appartenenti alla stessa comunità”, e in base a tale convinzione aveva chiesto le relative pene fino a un massimo di cinque anni di reclusione.

"Il più grande processo per maltrattamenti ai disabili in Italia" (come era stato definito dal documentario che la Rai ha messo in onda due anni fa) che sta lentamente volgendo alla conclusione, è anche quello che ha portato alla luce la pratica disumanizzante, degradante, brutale dell'"arrotolamento" degli ospiti ritenuti recalcitranti, oppositori, ingestibili, all'interno di tappeti comperati per l'occasione all'Ikea. E della difesa pubblica di questa pratica da parte di avvocati, testimoni e imputati, che l'hanno rivendicata addirittura come "strumento dolce", come una normale routine da adottare per il bene dei "pazienti". Anche nel corso dell'ultima udienza c'è stato chi ha avuto la spudoratezza di definire il tappeto contenitivo un "presidio di civiltà". Come Collettivo abbiamo denunciato e ribadito in tutte le sedi che non ci sono ragioni che possano giustificare una violenza del genere. Che non si possono arrotolare esseri umani in un tappeto. Che le pratiche manicomiali non dovrebbero mai trovare spazio. Che le persone non si legano, mai.

La negazione e il ridimensionamento dei maltrattamenti (come purtroppo è accaduto anche nell’ultima udienza) e della loro reiterazione e continuità di fatto, così come il tentativo di ridurre tutto a singoli episodi, decontestualizzandoli e depotenziandoli, rappresentano l'ennesimo schiaffo intollerabile alle sacrosante aspettative di giustizia delle vittime e delle loro famiglie.


Martedì 4 novembre 2025, molto probabilmente il giudice dovrebbe emettere sentenza di primo grado. Invitiamo tutte/i a partecipare al PRESIDIO in SOLIDARIETÀ alle VITTIME dei MALTRATTAMENTI MARTEDÌ 4 novembre ore 10.30 c/o il Tribunale di Pisa in Piazza della Repubblica.


Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud


Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud

via San Lorenzo 38, 56100 Pisa

antipsichiatriapisa@inventati.org

www.artaudpisa.noblogs.org 3357002669


lunedì 28 luglio 2025

47 anni di TSO illegittimi: la Corte Costituzionale svela le omissioni che hanno negato i diritti fondamentali

Riceviamo da Artaud e pubblichiamo:

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 76 del 2025, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale parziale dell’articolo 35 (Trattamento Sanitario Obbligatorio) della legge 833/1978, che istituisce il servizio sanitario nazionale (ex articolo 3 delle legge 180/78 cosiddetta “legge Basaglia ”).
La sentenza ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 35 in relazione alla mancata previsione di tre garanzie fondamentali: il diritto all'informazione e comunicazione del provvedimento alla persona interessata o al suo legale rappresentante (avvocato, amministratore di sostegno, tutore o curatore); il diritto della persona a essere sentita prima della convalida; la notifica del provvedimento di TSO alla persona interessata o al suo legale rappresentante.

Il giudizio di legittimità costituzionale era stato sollevato dalla Corte di Cassazione nel settembre 2024 nel corso di una controversia promossa da una donna sottoposta a TSO a Caltanissetta. La donna, tramite il suo avvocato, aveva presentato opposizione lamentando di non aver ricevuto alcuna notifica, di non essere stata ascoltata dal giudice e di non avere avuto strumenti effettivi per difendersi. La Cassazione, valutando il ricorso, aveva posto in evidenza una serie di gravi lacune nel procedimento, affermando che «la mancata audizione della persona da parte del giudice tutelare prima della convalida rende il controllo giudiziale meramente formale». I giudici della Corte costituzionale, in seguito al ricorso presentato dalla donna in Cassazione, hanno rilevato come l'articolo 35 della legge 833 non garantisca adeguate tutele, evidenziando che «il sindaco e il giudice tutelare comunicherebbero tra loro, ma nessuno dei due comunicherebbe con il paziente».

Cosa succederà da adesso in poi?
In teoria la sentenza della Corte Costituzionale dovrebbe avere effetto immediato su tutti i procedimenti in corso e su quelli futuri. I sindaci, in qualità di autorità sanitarie locali, dovranno garantire quindi, ai sensi del pronunciamento, che il provvedimento sia notificato alla persona o al suo legale rappresentante. I giudici tutelari saranno obbligati quindi ad ascoltare l’interessato prima di convalidare il trattamento. La mancata osservanza di tali garanzie potrà determinare l’illegittimità del TSO. Di prassi, il legislatore dovrebbe inoltre intervenire per adeguare il testo normativo al nuovo orientamento costituzionale.

Abbiamo ritenuto opportuno approfondire i meccanismi interni della Sentenza.
Secondo la Corte costituzionale l’assenza della tempestiva informazione sulle modalità di opposizione, costituisce «un ostacolo rilevante all’esercizio del diritto a un ricorso effettivo alla difesa e, in ultima istanza, a un giusto processo», anche se la 833 prevede la possibilità di chiedere la revoca del provvedimento di TSO e di proporre successiva opposizione di fatto. La Corte Costituzionale ha sostenuto quindi che la non comunicazione, la mancata audizione del giudice tutelare e la mancata convalida del provvedimento del TSO rappresentino «una violazione del diritto al contraddittorio, e alla difesa, dunque un deficit costituzionalmente rilevante». Ha fatto appello in particolare ad articoli fondamentali della Costituzione: il 13, sulla libertà personale, il 24, sul diritto di difesa in giudizio, e il 111, sul giusto processo.
La Consulta ha stabilito che la persona sottoposta a Tso deve essere messa a conoscenza del provvedimento restrittivo della libertà personale e deve partecipare al procedimento di convalida, in quanto titolare del diritto costituzionale di agire e di difendersi in giudizio, anche nel caso in cui si trovi in stato di «incapacità naturale».
Nella sentenza è scritto inoltre che l’audizione della persona sottoposta a TSO da parte del giudice tutelare debba avvenire prima della convalida «presso il luogo in cui la persona si trova – normalmente un reparto del servizio psichiatrico di diagnosi e cura”, perché questo incontro tra paziente e giudice «è garanzia che il trattamento venga eseguito nel rispetto del divieto di violenza fisica e morale sulle persone sottoposte a restrizioni della libertà personale (articolo 13, quarto comma, della Costituzione) e nei limiti imposti dal rispetto della persona umana (articolo 32, secondo comma, della Costituzione)». L’audizione per la convalida – che deve avvenire entro quarantotto ore – rappresenta un primo contatto che consente al giudice tutelare di conoscere le condizioni della persona, compresa «l’esistenza di una rete di sostegno familiare e sociale».

La sentenza della Corte Costituzionale ha fatto anche riferimento al rapporto del CPT (Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura) che nel 2023 ha segnalato che il TSO in Italia segue un «formato standardizzato e ripetitivo» in cui il giudice tutelare «non incontra mai i pazienti che che rimangono disinformati sul loro status legale». La Corte non si è limitata solamente alla questione TSO, mettendo giustamente in discussione l'analogo dispositivo amministrativo restrittivo della libertà personale che riguarda i migranti senza documenti: «l’accompagnamento coattivo alla frontiera e il trattenimento dello straniero nei centri di permanenza per il rimpatrio devono essere assistiti dal diritto di essere ascoltati dal giudice in sede di convalida, sicché sarebbe irragionevole e lesiva del principio di eguaglianza l’omessa previsione di analogo adempimento nel trattamento sanitario coattivo».

Il primo dato di fatto: è stata applicata una procedura carente di garanzie costituzionali per quarantasette anni.

Se il TSO è stato costituzionalmente illegittimo fino ad ora chi ci garantisce che le cose cambieranno?
Con che modalità queste persone saranno ascoltate? Tuteleranno la libertà e il diritto di difesa della persona che la sentenza della Corte Costituzionale, in maniera precisa, definisce? Malgrado la sentenza abbia riportato a chiare lettere che l'audizione debba avvenire nello stesso luogo in cui la persona si trova, il tribunale di Milano ha già chiesto l'attivazione di un numero per fare le audizioni in videochiamata. Il rischio è dunque che questa nuova procedura venga risolta aggirando i dispositivi più tutelanti, in barba alla stessa sentenza. Quale tutela, quale salvaguardia di diritti potrebbe assicurare una videochiamata, magari in presenza di personale sanitario, con un paziente già sedato? In queste condizioni immaginiamo i giudici tutelari convalidare i TSO come un atto meramente burocratico: tutt'altro che come garanzia di controllo sul divieto di violenza fisica e morale indicato nella sentenza.

Se -in teoria- la legge prevede il ricovero coatto solo in casi limitati e nel rispetto rigoroso di alcune condizioni, la realtà testimoniata da chi la psichiatria la subisce è ben diversa. Sappiamo bene, come Collettivo Artaud, in venti anni di esperienze accumulate con le nostre lotte contro le pratiche manicomiali, che il preciso protocollo della procedura di imposizione di TSO molto spesso non è applicato, e che il TSO non è affatto un provvedimento usato come extrema ratio. Troppo spesso le procedure giuridiche e mediche durante il TSO vengono aggirate: nella maggior parte dei casi i ricoveri coatti sono eseguiti senza rispettare le norme che li regolano e seguono il loro corso semplicemente per il fatto che quasi nessuno è a conoscenza delle normative e dei diritti della persona.

L'inganno del sistema psichiatrico sta nel credere che un TSO duri in fondo solo sette giorni, o quattordici nel caso peggiore. La verità è che il TSO implica una coatta presa in carico della persona da parte dei Servizi di salute mentale del territorio che può durare per decenni. Una volta entrato in questo meccanismo infernale, una volta bollato con lo stigma della "malattia mentale", il paziente vi rimane invischiato a vita, costretto a continue visite psichiatriche e soprattutto, alla somministrazione obbligatoria di psicofarmaci, pena un nuovo ricovero coatto. Per i ricoverati in TSO si ricorre ancora spesso all’isolamento e alla contenzione fisica, mentre i cocktails di farmaci somministrati mirano ad annullare la coscienza di sé della persona, a renderla docile ai ritmi e alle regole ospedaliere. Il grado di spersonalizzazione ed alienazione che si può raggiungere durante una settimana di TSO ha pochi eguali, anche per il bombardamento chimico a cui si è sottoposti.
Ecco come l’obbligo di cura oggi non significhi più necessariamente e solamente la reclusione in una struttura, ma si trasformi nell’impossibilità di modificare o sospendere il trattamento psichiatrico sotto costante minaccia di ricorso al ricovero coatto sfruttato come strumento di ricatto, punizione e repressione.

Ma in realtà come Collettivo riteniamo che ci sia una seconda, ulteriore, considerazione di cui tenere conto.

La Sentenza n. 76 del 2025, pur non menzionando esplicitamente la contenzione meccanica offre, a nostro avviso, un forte potenziale interpretativo critico. Il nucleo della pronuncia è il rafforzamento del controllo giurisdizionale sul TSO, tramite l'audizione preventiva e in loco della persona da parte del giudice tutelare. La Corte esplicita, ed è questo l’elemento che vorremmo sottolineare, che tale audizione è «garanzia che il trattamento venga eseguito nel rispetto del divieto di violenza fisica e morale sulle persone sottoposte a restrizioni della libertà personale» (Art. 13, comma 4 Cost.) e «nei limiti imposti dal rispetto della persona umana» (Art. 32, comma 2 Cost.). Inoltre, la sentenza parla di «audizione» , quindi di ascolto.
Deducendo da ciò: La contenzione meccanica, essendo una limitazione fisica diretta e potenzialmente lesiva della dignità, rientra a pieno titolo nelle «violazioni fisiche e morali» e nel mancato «rispetto della persona umana». Difficilmente si può pensare che, ascoltando la persona in stato di malessere si possa poi procedere a legarne gli arti o a limitarne la mobilità in modo pesantemente coercitivo.

La sentenza, esigendo un controllo giudiziale non più formale ma sostanziale sulla concreta esecuzione del trattamento, rende ogni ricorso alla contenzione immediatamente sindacabile e, riteniamo, censurabile sotto il profilo di questi inderogabili principi costituzionali. La sua applicazione, pertanto, è ora direttamente e immediatamente riconducibile a una possibile violazione dei diritti fondamentali della persona, richiedendo una strettissima aderenza ai criteri di necessità ed eccezionalità per sfuggire alla qualificazione di violenza costituzionalmente illegittima.



sabato 10 maggio 2025

Firenze - 16 Maggio - Cpa Firenze Sud

FIRENZE VENERDì 16 MAGGIO c/o CPA FI-SUD via di Villamagna 22 Ore 18:30
il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
presenta l’opuscolo:
“IL RUOLO DELLA PSICHIATRIA NELL’OCCUPAZIONE DELLA PALESTINA” –
Campaign for Psych Abolition– autoproduzione Luglio 2024

Leggere criticamente la psichiatria come pilastro del sionismo,
smantellare la visione strutturale occidentale
della salute mentale e de-patologizzare la Resistenza.

Per info:
antipsichiatriapisa@inventati.org