Il 27 settembre è cominciato il processo per la morte di Andrea 
Soldi, ucciso dai vigili urbani che stavano cercando di imporgli con la 
forza un TSO – un trattamento sanitario obbligatorio.
In questi giorni, con le testimonianze dei sanitari, che visitarono 
Soldi quando arrivò in ospedale ammanettato e ormai privo di coscienza 
per la lunga mancanza di ossigeno, il processo sta entrando nel vivo.
La vicenda di Soldi non è che la punta dell’iceberg. La lista dei 
morti di psichiatria, che si allunga anno dopo anno, ci mostra una 
pratica che serve a disciplinare, reprimere, rinchiudere, non certo a 
“curare”.
Di seguito un testo del Collettivo Mastrogiovanni sulla vicenda Soldi e non solo:
“Andrea Soldi è morto il 5 agosto 2015 in piazzale Umbria a Torino, 
ucciso dai vigili urbani che lo stavano sottoponendo ad un TSO 
(Trattamento sanitario obbligatorio), perché non si era presentato alla 
mensile somministrazione forzata (tramite iniezione a lento rilascio) di
 Haldol, un potente e dannoso neurolettico che provoca dipendenza e 
gravi effetti collaterali. Il 27 settembre si è aperto il processo che 
vede imputati per omicidio colposo i 3 vigili autori della manovra 
contenitiva che ha di fatto soffocato l’uomo, e lo psichiatra che ha 
disposto il TSO senza che ci fossero le necessarie condizioni previste 
dalla legge. Tutti hanno continuato e continuano a svolgere le proprie 
mansioni. I vigili sono stati spostati in un altro reparto. Nel 
passaggio ci è scappata una promozione.
Durante le udienze preliminari il Comune e l’Asl To2 avevano offerto 
400.000 euro ai familiari della vittima, che li hanno rifiutati. Il solo
 fatto che due enti che versano in ristrettezze economiche abbiano 
proposto massimali di risarcimento ancor prima che fosse accertata 
l’effettiva responsabilità degli imputati, ci fa capire il peso che 
questo processo potrebbe avere nell’attaccare l’istituzione psichiatrica
 e i suoi (ab)usi, ponendo l’attenzione sul TSO, ovvero quel trattamento
 che dà agli psichiatri il potere di catturare, imprigionare e drogare 
le persone contro la loro volontà e in modo del tutto arbitrario.
Quella di Andrea non è una storia di malasanità, un errore 
nell’attuazione di un provvedimento terapeutico, ma è la più tragica 
conseguenza di pratiche quotidianamente perpetrate dalla psichiatria, di
 continui ricatti, violenze e vessazioni che la maggior parte degli 
utenti psichiatrici sono costretti a subire. Non è neanche un caso 
isolato di morte per TSO, perché sono in tanti a perdere la vita durante
 la cattura e soprattutto a causa dell’indiscriminata e ponderosa 
somministrazione di psicofarmaci. La differenza è che nel caso di Andrea
 ci sono tanti testimoni, occhi e orecchie di gente “normale” che hanno 
assistito a ciò che mai avrebbero potuto immaginare, perché la 
repressione psichiatrica avviene nella solitudine di chi ne è investito,
 nel silenzio delle loro famiglie, dentro reparti chiusi e in luoghi 
isolati. La storia di Andrea è l’eccezione che conferma la regola e da 
due anni è deflagrata nelle pagine di cronaca dei giornali. É una storia
 simile a quella di Francesco Mastrogiovanni, le cui ultime ore di vita 
nel repartino dell’ospedale di S. Luca di Vallo della Lucania, sono 
state immortalate da una telecamera: 87 ore di agonia durante le quali, 
pesantemente sedato con farmaci antipsicotici, è stato legato mani e 
piedi al letto, senza cibo né acqua, fino alla morte il 31 luglio del 
2009. Anche Franco è morto durante un ricovero coatto, anche in questo 
caso il comportamento della vittima era tranquillo e conciliante, e 
anche stavolta il provvedimento non era legittimo. Anche qui un altro 
processo iniziato a novembre 2014 che vede imputati 12 infermieri e 6 
medici (per reati di sequestro, falso in atto pubblico e morte in 
conseguenza ad altro reato – il sequestro), in cui si cerca sempre di 
circoscrivere la tortura subita all’interno di un ospedale come un 
episodio unico di disservizio ed inefficienza. A novembre scorso la 
Corte d’Appello di Salerno ha condannato gli 11 infermieri (pene dai 14 
mesi ai 15 mesi) che in primo grado erano stati assolti e ha confermato 
le condanne per i sei medici, a cui però le pene sono state ridotte (dai
 13 mesi ai due anni). A tutti è stata sospesa la pena e, quindi, 
continuano a lavorare nel SSN. Uno dei medici è coinvolto nella morte di
 Massimiliano Malzone avvenuta nel giugno 2015 nel SPDC di Sant’Arsenio 
di Polla, probabilmente a causa di una somministrazione letale di 
farmaci.
L’ultimo fatto di cronaca risale ad agosto, quando Fabio Tozzi, un 
uomo di 48 anni che, entrato in TSO all’ospedale Villa Scassi a Genova, 
ne è uscito morto dopo un paio d’ore, durante le quali è passato prima 
per il pronto soccorso e poi per il repartino, e ha ricevuto una o forse
 più somministrazioni di psicofarmaci. É paradossale che un uomo 
controllato da famiglia e Sert per la sua dipendenza dipendenza da 
droghe, sia morto in ospedale per un’overdose di psicofarmaci, ovvero 
sempre sostanze psicotrope ma “legali” in quanto prescritte da medici.
Nonostante in Italia i manicomi siano stati chiusi alla fine degli 
anni Settanta, l’orrore psichiatrico non è mai finito e come si moriva 
nei manicomi, si muore oggi nei nuovi luoghi della psichiatria, 
strutture più piccole capillarmente diffuse sul territorio, all’interno 
delle quali continuano a perpetrarsi sia l’etichetta di “malato mentale”
 sia i metodi coercitivi e violenti della psichiatria.
Di recente a Torino a due lavoratrici OSS della comunità psichiatrica 
torinese “Il Ponte”, che sono state sospese e licenziate poiché 
lottavano contro la contenzione fisica dei pazienti all’interno delle 5 
comunità psichiatriche, dove, nonostante le alte rette versate dall’ASL,
 manca il personale. Per il guadagno di pochi privati, si calpesta la 
dignità sia dei pazienti, sempre più sedati e contenuti, sia di quei 
lavoratori che obiettano metodi disumani e manicomiali.
La psichiatria può cambiare i nomi dei luoghi e dei trattamenti, gode
 dell’appoggio di medici, tribunali, giornali e fautori del 
contenimento e del mantenimento dello status quo, ma non riuscirà mai a 
persuadere chi ha avuto la sfortuna di incapparvi e vive ogni giorno i 
suoi soprusi, così come chi odia la reclusione, chi vuole abbattere 
mura, gabbie e confini e lotta ogni giorno per la libertà di tutti.
Collettivo Antipsichiatrico “Francesco Mastrogiovanni”
Telefono: 345 61 94 300 martedì dalle 19, oppure lascia un messaggio in segreteria
antipsichiatriatorino@inventati.org”
Ascolta la diretta con Raffaella del Collettivo Mastrogiovanni su http://radioblackout.org/2017/11/processo-soldi-e-passeggiata-antipsichiatrica/