di Sondra Cerrai mamma di Mattia Giordani
In
 provincia di Pisa si trova un centro che si occupa di malattie 
psichiatriche e neurologiche infantili, un centro che è definito 
d’eccellenza, un centro strettamente legato all’Università di Pisa, un 
centro che accoglie bambini e adolescenti problematici da tutta Italia.
 Questa struttura è una realtà (gestita dalla) Fondazione Stella Maris 
che dipende direttamente dalla diocesi di San Miniato per cui è 
fortissima è l’impronta cattolica che ne caratterizza i principi guida e
 dovrebbe caratterizzare l’impronta etica degli interventi che qui si 
realizzano. Il
 cuore pulsante di questa struttura della Fondazione si trova al 
Calambrone al confine con Livorno, di fronte al mare. La struttura è 
attiva dal 1958 ed ha saputo creare una strettissima fusione di 
interessi con l’Università degli studi di Pisa e con la ASL fino ad 
agire in un regime di quasi monopolio per il trattamento dei disturbi 
psichiatrici e neurologici. Si
 tratta di un istituto enorme, sia per estensione spaziale degli 
ambienti in continuo ampliamento (e di quelli dismessi che costituiscono
 comunque un cospicuo patrimonio immobiliare), sia per quanto riguarda 
l’elenco delle patologie e dei disturbi di cui si occupa. Sotto
 questo aspetto la Stella Maris rappresenta un punto di riferimento per 
tantissime persone (1) . Di fatto la struttura di cui nel presente 
articolo parlo (e che è gestita dalla Fondazione Stella Maris) è 
un’istituzione privata convenzionata e finanziata con milioni di euro 
l’anno dalla Regione Toscana lavorando in regime di quasi monopolio. La 
Regione, nonostante la gravità degli abusi certificati dalle 
videoriprese, non ha ritenuto opportuno costituirsi come parte civile al
 processo, suscitando riprovazione e sgomento tra i genitori delle 
vittime dei maltrattamenti. Esistono due succursali di questo centro: 
una a San Miniato, dedicata soprattutto alle giovani donne e adolescenti
 e l’altra a Marina di Pisa (ex Montalto di Fauglia) più propriamente dedicata ai ragazzi e ai giovani uomini. E’
 qui, a Montalto di Fauglia, che parte la storia che ha aperto una 
voragine sull’essenza vera della Stella Maris e sul concetto stesso di 
strutture “protette”. A Montalto di Fauglia, vera casa degli orrori, si 
sono consumati durante gli anni abusi e coercizioni a danno dei più 
deboli e quello che la telecamera ha ripreso in un’unica stanza, il 
refettorio, e in un arco ristretto di tempo, tre mesi di riprese 
nell’estate del 2016, può essere considerato paradigmatico di ciò che 
probabilmente accadeva nel resto della struttura e in un arco temporale ben più vasto.
Le indagini sui maltrattamenti – condotte dalla PM Paola Rizzo – erano iniziate quando i carabinieri avevano
 segnalato alla Procura di Pisa di aver ricevuto due lettere anonime che
 denunciavano atti di violenza di alcuni operatori della struttura di 
Montalto nei confronti di vari pazienti. Nello stesso periodo era 
arrivata anche una denuncia, non anonima, da parte dei genitori di un 
paziente affetto da autismo, corredata da un referto medico: sul corpo 
del figlio da circa un anno comparivano spesso dei lividi sospetti ma 
gli educatori e i medici della struttura ne attribuivano la 
responsabilità alla gravità delle patologie dei ragazzi e al fatto che 
si “picchiassero” tra loro o al servizio di trasporto da e verso l’istituto. A
 seguito di queste denunce la PM decise di installare le telecamere 
nascoste nei due refettori di Montalto (purtroppo in un refettorio la 
telecamera non ha mai funzionato) e di procedere alle intercettazioni 
anonime delle telefonate tra i vertici degli operatori della Fondazione.
 In seguito ad un’approfondita indagine e alla visione di ore di 
videoregistrazioni e di intercettazioni telefoniche, il giudice per le 
indagini preliminari del Tribunale di Pisa, Elsa Iadaresta, aveva 
deciso, come primo atto, l’allontanamento dal servizio di quattro 
operatori sanitari della Fondazione. Grazie al lavoro certosino dei 
carabinieri e alle minuziose indicazioni della dr.ssa Paola Rizzo 
emersero successivamente altri nomi e la rilevanza del numero degli 
operatori coinvolti rese chiaro sin dall’inizio che non si trattava di 
episodi isolati, perpetrati da singoli individui, ma di un vero e 
proprio sistema in qualche modo accettato o misconosciuto dalla 
prestigiosa dirigenza
 della Stella Maris. Già dopo quattro giorni di ripresa, come ha scritto
 il Giudice dell’Udienza Preliminare Giulio Cesare Cipolletta (2) nella 
sentenza-ordinanza del 2019, i video documentavano
 “atti di violenza fisica come schiaffi e strattoni oppure minacce ed 
ingiurie, poste in essere in maniera del tutto gratuita e senza 
riferimento a pregresse condizioni dei pazienti”. Le
 telecamere riprendono quello che accade nella mensa per circa tre mesi.
 “Oltre novanta giorni durante i quali solo in nove di essi non si è 
assistito ad episodi di rilievo penale” si legge ancora nella sentenza 
del giudice Cipolletta. Per il giudice questo attestava “una 
generalizzata e quotidiana prassi violenta in danno di soggetti deboli; 
prassi che non è mai o quasi mai stata interrotta neppure dagli altri 
operatori che non si conformavano alle violenze esercitate”. Per 
Cipolletta si trattava di “prassi che i responsabili delle strutture non
 hanno saputo o voluto modificare, omettendo di porre in essere quei 
poteri ad essi conferiti espressamente”(3).
Le
 indagini della Procura non si limitarono ad indagare sui casi del 2016;
 gli inquirenti individuarono altri episodi che sarebbero avvenuti negli
 anni precedenti e mai segnalati all’autorità giudiziaria. Già nel 2002,
 ricostruisce il giudice, un operatore che lavorava a Montalto avrebbe 
compiuto atti di violenza verso un ospite. Lo stesso operatore nel 2003 
sarebbe stato responsabile del reato di sequestro di persona “per aver 
legato senza motivo un paziente”. All’epoca
 l’unico provvedimento preso nei suoi confronti fu quello di trasferirlo
 per tre mesi a prendersi cura di piante e fiori in un’altra struttura 
della Fondazione. Oggi è tra gli imputati. Così come un altro operatore 
che avrebbe commesso gravi aggressioni nei confronti di 4 pazienti 
rispettivamente nel 2008, 2009, 2013 e 2014. Non era stato licenziato ma
 “dimissionato” e comunque, di nuovo, mai portato all’attenzione della 
magistratura. La stampa cittadina ha definito questo processo “il più 
grande processo per maltrattamenti su disabili in Italia”. Gli imputati 
erano diciassette: accusati di aver maltrattato ventitré pazienti 
affetti da autismo e altre gravi neuropatie. Due
 imputati sono usciti di scena dopo la sentenza di Cipolletta: un 
operatore che ha patteggiato la pena e il Direttore generale che, dopo 
il rito abbreviato, in cui era stato condannato a due anni e otto mesi 
di reclusione è stato poi assolto nel processo d’Appello(4). Sul banco 
degli imputati vi sono adesso quindici operatori tra cui le due 
dottoresse, Paola Salvadori e Patrizia Masoni oltre al direttore 
sanitario Giuseppe De Vito.
La
 Regione Toscana erogatrice di migliaia di euro alla Stella Maris (e 
presumibilmente poco accorta nel mettere in atto sistemi di controllo 
efficaci) ha deciso di non costituirsi parte civile e la allora 
assessora Stefania Saccardi si è negata anche alle telecamere della RAI 
venendo meno all’intervista, sfuggendo alle telecamere e rifiutando di 
motivare la sua scelta, cosa che un amministratore regionale (che 
gestisce molti fondi pubblici riversandoli ad una fondazione privata) 
dovrebbe sempre essere obbligato a fare(5) . Ci
 sono, tuttavia, trentaquattro parti civili davanti al giudice Susanna 
Messina che ha dato il via al processo ordinario la cui prima udienza si
 è tenuta il 10 febbraio 2020. Oltre ai genitori e ai familiari ci sono 
Telefono Viola, Anmic (Associazione nazionale mutilati e invalidi 
civili) e Agosm, ovvero l’associazione dei genitori degli ospiti di 
Montalto. Il processo per maltrattamenti va dunque avanti lentamente 
anche per il numero elevatissimo di testimoni da ascoltare: nel periodo 
della pandemia è stato ospitato nel Palazzo dei Congressi di Pisa, unico
 caso nella storia della giustizia
 pisana. Al processo è emersa la gratuità delle violenze (comunque mai 
prassi legittime dentro percorsi di cura), compiute quando i ragazzi 
stavano mangiando ed erano del tutto inoffensivi. Le videoregistrazioni (a cui si sommano le intercettazioni telefoniche) testimoniano oltre 280 episodi di violenza in meno di 4 mesi; violenza non episodica ma strutturale.
A
 fianco di questo processo se ne sta svolgendo un altro che riguarda la 
morte di Mattia, mio figlio, un giovane di 26 anni, prima vittima come 
gli altri dei maltrattamenti sotto inchiesta e poi morto in circostanze 
sospette ancora al vaglio della magistratura. Mattia è morto nel marzo 
del 2018 per soffocamento, dovuto probabilmente al prolungato ed 
eccessivo uso di psicofarmaci. I continui cambi di terapia avevano 
comportato disfunzionalità e rischi al momento dei pasti, rischi di cui 
noi non eravamo stati informati e che sono stati criminalmente (o per 
prassi in uso di non dettagliare efficacia e rischi delle terapie farmacologiche, di cui si chiede usualmente fiducia cieca
 da parte di pazienti e loro familiari) sottovalutati e sottaciuti dai 
medici e dagli operatori che lavoravano a Montalto(6) . Per questa 
vicenda vi è un altro procedimento penale, il processo in primo grado si
 è chiuso con nessuna responsabilità da parte dei medici e della 
struttura. È iniziato il processo d’Appello presso il Tribunale di 
Firenze, rinviato a novembre 2025. La
 storia che si intende approfondire qui, tuttavia, è quella della 
struttura in sé del modo in cui ha operato e molto probabilmente 
continua ad operare, delle dinamiche che regolano istituti, dagli 
intrecci che vi sono con gli enti pubblici. La vicenda dei 
maltrattamenti mostra ogni volta uno spaccato aberrante di quella che 
risulta essere una istituzione totale a tutti gli effetti. 
Montalto come “Istituzione totale”