domenica 16 settembre 2018

Un'esperienza di antipsichiatria pratica: ''La Cura''

di Giuseppe Bucalo

settembre 2002 - settembre 2018
IO SONO LA CURA
un'esperienza di antipsichiatria pratica

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I primi di settembre dell'anno 2002 viene avviata la comunità di accoglienza a bassa soglia "La Cura", grazie ad un finanziamento regionale ottenuto dall'associazione Penelope. Coordinamento solidarietà sociale che ho
promosso, con altri, nel 1996 e di cui tutt'ora sono il rappresentante legale.
Da anni, dopo le esperienze di autogestione promosse dal Comitato Iniziativa Antipsichiatrica nel paese di Furci Siculo (dove siamo nati), a Catania e, per un periodo, anche nelle città di Palermo e Messina, ci siamo interrogati in merito alla possibilità/necessità di creare "rifugi antipsichiatrici" a supporto dei percorsi individuali di liberazione dalla psichiatria.
Per cultura e vocazione ci siamo sempre orientati per un approccio pratico, ritenendo l'antipsichiatria non un'ideologia o una teoria alternativa alla psichiatria, ma un punto di vista. Una volta assunto (una volta cioè che ci si è liberati dalla necessità di negare l'esperienza dell'altro definendola come malattia o disagio), quello che ci è sempre premuto è praticarlo, renderlo concreto, confrontarci su un piano di realtà con gli altri punti di vista che costituiscono la cultura dominante.
Il comitato iniziativa antipsichiatrica nasce nel 1986. Solo 16 anni dopo ci sentiremo pronti ad affrontare questa avventura.
Le nostre remore non sono mai state "ideologiche". Il Comitato è, credo e a mia memoria, l'unico gruppo antipsichiatrico organizzato in Italia che non è espressione di gruppi politici, collettivi o esperienze di movimento.
Il nucleo originario era costituito da un gruppo di amici, alcuni dei quali, fra i quali io stesso, aveva avuto un'esperienza di tirocinio (in qualità di assistente sociale) presso il manicomio di Messina. Questa esperienza aveva aperto in ognuno di noi una profonda ferita (per alcuni sul versante umano, per altri su quello culturale e politico), spingendoci ad organizzarci per provare a portare fuori da quell'inferno (e dalla sua logica) i nostri concittadini ed evitando di farci mandanti di nuovi internamenti (secondo la procedura del Tso introdotta dalla legge 180).
Le remore all'apertura di "luoghi" erano legate ad una semplice e pratica questione di fondo: il nostro rifiuto della psichiatria è essenzialmente rifiuto della delega a specialisti di questioni che riguardano noi stessi e le nostre relazioni; è rifiuto di qualsiasi concetto di malattia o sofferenza mentale che individui gli utenti psichiatrici come soggetti altri rispetto al resto del genere umano; è rifiuto di qualsiasi concetto di "cura" riferito a qualsiasi azione che intende influire, negare, modificare modi di pensare, essere e fare degli individui.
Partendo dal nostro punto di vista sentivamo che creare un qualsiasi luogo di incontro, accoglienza, ascolto specialistico e riservato agli utenti psichiatrici, rischiava di riproporre, nel negarla, una sorta di diversità ontologica dei matti e la necessità che per loro si pensino e attuino percorsi specifici da parte di persone competenti/sensibili/preparate ad hoc.
Questa constatazione ci ha fatto per anni preferire confrontarci direttamente con le persone nei luoghi in cui vivono insieme a noi, nell'ambito delle nostre relazioni e nelle realtà sociali che condividiamo. Nessuno spazio separato, nessuna attività ad hoc, nessuna rappresentazione teatrale, squadra di calcetto o altra iniziativa collettiva che individui le persone, se non lo vogliono, né lo scelgono, come appartenenti al gruppo dei "malati", "disagiati" o "sofferenti" mentali.
L'esperienza pratica ci ha edotti del fatto che la liberazione dalla psichiatria passa dalla possibilità di utilizzare risorse non solo giuridiche ma anche materiali per separarsi e rendersi autonomi dai contesti sociali e familiari in cui si è inseriti. Abbiamo capito che, fuor di ogni dubbio, la cosiddetta psichiatria delle "buone pratiche" consiste essenzialmente in uno scambio in cui la persona, per usufruire di spazi di libertà e di scelta sempre più ampi, ma anche di possibilità concrete di accoglienza, vitto e reddito, deve accettare il suo status di "paziente" e riconoscere quello di "terapeuti" ai suoi custodi/curatori/amministratori.

Ci è via via apparso chiaro che occorreva battere la logica psichiatrica, oltre che su un piano ideologico, soprattutto su un piano pratico. Il nostro problema era come fare accoglienza e rifugio senza riproporre il paradigma psichiatrico.
L'occasione ci venne offerta da un avviso della Regione Sicilia che, nell'ambito dell'emergenza freddo, finanziava progetti di accoglienza per senza dimora.
E' l'uovo di colombo e, insieme, una scoperta.
L'avviso ci offre l'occasione per realizzare praticamente ciò che avevamo in mente, riducendo fino a quasi annullarlo il pericolo di riproporre la logica psichiatrica. Un centro per senza dimora (almeno quello da noi pensato) è un luogo aperto h 24 in cui può trovare rifugio chiunque, per qualsiasi motivo, si trovi privo di supporto socio-familiare e/o di un luogo in cui dimorare. Il titolo di accesso è prettamente materiale e oggettivo, la tua condizione soggettiva non rileva per l'accesso ai servizi. Puoi essere più o meno matto secondo la definizione ufficiale, ma questo non ti da alcun titolo preferenziale, né è ostativo perché tu possa trovare accoglienza.
La natura prettamente socio-assistenziale della struttura, poi, fa sì che essa non sia ordinata gerarchicamente alla struttura sanitaria, non abbia con essa alcun rapporto convenzionale o economico,né che sia deputata a svolgere attività di tipo riabilitativo o terapeutico. In altre parole è una zona depsichiatrizzata ed è uno spazio comune che accoglie percorsi soggettivi diversi uniti solo dall'elemento oggettivo dell'assenza di mezzi materiali di sopravvivenza.
La scoperta che faremo, aprendo questo rifugio, è che il mondo dei senza dimora è popolato da decine di persone che hanno scelto la strada come unica e sola possibilità di fuga dalla trappola familiare-psichiatrica.
Il rifugio che nasce da questo finanziamento è stato chiamato "La Cura". Una provoc/azione rispetto all'appropriazione indebita da parte della medicina, e della psichiatria in particolare, di un'attività umana (il prendersi cura) che è qualità delle nostre relazioni e non oggetto di competenze specifiche.
Oggi "La Cura" è l'unico rifugio antipsichiatrico in Italia.

1 commento:

Unknown ha detto...

Vorrei sapere se c è qualcosa di simile alla vostra"la cura"...o gruppi antipsichiatrici in Umbria, perché non so a chi rivolgermi! Aiutatemi