venerdì 17 aprile 2015

Sulla liberazione dell’ex O.P.G. del Rione Materdei di Napoli

La liberazione dell’ex Ospedale Psichiatrico Giudiziario del Rione Materdei di Napoli. Quando dalla simbologia storica di un luogo si possono trarre utili suggerimenti per una proposta politica di ricomposizione sociale antagonista. Anche da un punto di vista regionale (La Campania) attraverso la comune condivisione di un’importante esperienza politica.L’esperienza dell’umanità politica napoletana che, da più di un mese, ha liberato la struttura dell’ ex O.P.G. dal degrado, dopo la chiusura del carcere psichiatrico nella simbologia storica del luogo in oggetto, potrebbe avere un duplice significato:

Il primo – nella moderna prassi dell’agire politico, si potrebbe definire come la riappropriazione di uno spazio chiuso e abbandonato a destinazione sociale e pubblica, viste le dimensioni della struttura.
Il secondo – legato al ruolo storico della segregazione sociale di una umanità complessa, affine a quelle le istituzioni totalizzanti che oggi rappresentano la discarica sociale dove vengono ammassati uomini, espressione non solo della disequazione sociale ma anche delle linee guide della controriforma sociale che prevede l’opera di smantellamento dello stato sociale, anche nell’azzeramento nella sua memoria .
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L’esperienza di Je so pazzo di Napoli potrebbe assumere un enorme valore politico progettuale da ampliare e socializzare se le compagne/i, insieme alla testimonianza dell’iniziativa, pongono in essere la volontà di rappresentarsi politicamente a livello regionale, partendo da quello che potrebbe essere un intervento politico sulla psichiatria ed antipsichiatria.
Per ciò che riguarda le esperienze politiche sull’antipsichiatria, all’indomani dell’applicazione della legge 180 (la c.d. legge Basaglia) le indicazioni e la pratica provenienti da Trieste si diffusero subito nel resto d’Italia e, manco a farlo apposta, la Campania vide in Napoli e Salerno le città dove si determinarono varie pratiche ed esperienze di lotta per la sua applicazione.
Sul disturbo mentale si basò l’agire e l’esperienza politica del Centro Sociale Vincenzo Di Muro di Salerno, che individuando come referente politico il disturbato mentale, sperimentò la pratica poi attuata sul territorio dei principi ed idealità contenuti nella Legge Basaglia.
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“Il disturbato mentale” quale figura  umana, sociale e comportamentale che di per sé scatena le contraddizioni di una società basata sul profitto, sull’apparire, sul potere, sull’effimero e quindi sul denaro, data la sua non omologazione con i principi della società consumista/capitalista, mette a nudo l’impalcatura di una comunità (metropoli, città di provincia, paese, salerno) non a misura umana che si manifesta quotidianamente con le sue barriere infrastrutturali, culturali e mentali.
Il disturbo mentale determina quindi un impatto immediato con la società capitalista che discriminando ed emarginando il “diverso”, “l’irregolare” , ”o pazz”, in quanto categorie umane poco inclini alle regole e ai dettami del capitalismo, legittima la propria ragion d’essere nella continua opera ipocrita di mascherare e legittimare la mercificazione dell’umanità .
1349775680196BASAGLIAEcco perché la legge Basaglia all’epoca considerata  rivoluzionaria, in quanto metteva in discussione lo stato delle cose presenti come l’urbanistica,  l’assistenza sanitaria e  l’assetto produttivo, la politica dei servizi e tutte le condizioni socio, economiche, religiose e quant’altro che sono all’origine delle fenomenologie socio-antropologiche generanti il disturbo mentale, smascherando così le incapacità di una società volutamente impreparata ad affrontare il disturbo mentale con tutte le problematiche ad esse correlate, i primis le vicissitudini delle famiglie dei disturbati mentali.
Il tasso d’emancipazione, civiltà e democrazia di una comunità si verifica nei luoghi della sofferenza come le carceri e gli ospedali, dove la segregazione sociale è il risultato delle incapacità e/o volontà di affrontare e risolvere quelle condizioni e contraddizioni sociali che inducono una sempre più ampia umanità a riempire quelle istituzioni che mai come oggi è corretto definire discariche sociali.

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Ecco perché l’Italia a livello europeo fu varie volte condannata per le violazione dei diritti umani e per “nun fa figur e’ merd” con l’Europa (Corte di Strasburgo, ecc) fu costretta ad applicare la Legge Basaglia.
La voluta impreparazione da parte degli Enti nel non rispetto delle norme applicative della L.180 era finalizzata al fallimento della stessa, per giustificare il ritorno e/o mantenimento dei Manicomi.
Infatti, le istituzioni territoriali (Regione, Provincia,  Comune, ASL) non predisposero quelle condizioni logistico sanitarie adeguate (come la preparazione e la formazione professionale, strutture territoriali tese al reinserimento, sostegno alle famiglie ecc) per l’applicazione della legge Basaglia determinando di fatto, nel suo percorso applicativo/esplicativo, non un ostacolo qualsiasi ma una muraglia granitica che si regge sulle umane paure esistenziali verso “o pazz”.
Paure, dubbi, incertezze rilevate ed espresse persino nella sinistra, anche rivoluzionaria, di allora dove gli ostacoli provenivano dalle resistenze, certezze ideologiche che trovavano difficoltà enormi nell’individuare un referente politico culturale diverso dalla concezione classica della classe operaia, considerata di per sé antagonista e quindi rivoluzionaria, e quindi l’operaio unico imprescindibile ed insostituibile referente di classe.
La sintesi riflessiva della esperienza sopra citata trovò molte resistenze allora (1979 – 1983 quando ci si poneva politicamente per il superamento dello stato sociale), anche in pieno clima repressivo per le leggi Kossighiane, nell’opera di socializzazione/condivisione dell’esperienza del C. Sociale V. Di Muro anche all’interno dell’area dell’Autonomia Operaia di allora.
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Oggi più di ieri, specie in questa fase di frammentazione dell’opposizione sociale anticapitalista ed antagonista, dove la concezione classica e storica del proletariato è stata soppiantata e sostituita dalle innumerevoli categorie umano-lavorative, schiavistiche, precarie, il cui unico filo conduttore è costituito dalla precarietà, disumanità tendente alla barbarie, varrebbe la pena investire le nostre intelligenze, sensibilità attorno ad una espressione, un simbolo che possa esprimere il conflitto tra la natura ed il dominio (in senso capitalista).
Permetterebbe in tal modo anche un confronto politico tra le generazioni, oggi più che mai necessario, dove la prassi e la teoria si confronterebbero attorno ad una problematica veramente esplosiva.
fonte: http://www.ecn.org

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