di Chiara Gazzola , Fonte http://www.arivista.org/?nr=442&pag=69.htm segnalato da Collettivo Artaud
La scuola italiana è ben lungi dall'essere una comunità educante. Tagli
alle risorse e aumento di certificazioni dimostrano quanto le difficoltà
espresse da ragazze/ragazzi vengano lette come sintomi di malattie e
affrontate in termini medici e farmacologici.
<<La verità è la menzogna più profonda.>> Friedrich Nietzsche
La nostra epoca, a causa di una proficua pianificazione, è
caratterizzata da un diffuso malessere esistenziale e dal dilagare di
menzogne, indorate dal termine anglosassone fake news.
Il trionfo del neoliberismo invade anche tutti i contesti educativi e
formativi. La scuola, perdendo i valori pedagogici di attenzione ai
diritti e ai bisogni, acquisisce peculiarità aziendali evidenziate da
neologismi (debiti, crediti, profitto, competenze, ottimizzazione dei
tempi, raggiungimento di risultati): i continui tagli alle risorse
inducono a un'elevata competizione fra i plessi con “offerte formative”
di addestramento al mercato del lavoro, test di valutazione
standardizzati, abolizione di interdisciplinarietà ed elaborazione
critica delle conoscenze.
Nella scuola primaria, abolite le compresenze di insegnanti, l'approccio
al sapere basato sulla ricerca è spesso sostituito da apprendimenti
ottenuti in tempi ristretti e valutati attraverso quiz. Si innesca una
concorrenzialità irrispettosa delle complessità tipiche dell'età
evolutiva che produce ansia da prestazione e discriminazione fra chi
emerge e chi è costretto nelle retrovie.
La tendenza a svilire e soppiantare il sapere umanistico, pedagogia
compresa, a favore di applicazioni tecnicistiche si origina dal criterio
EBE (Evidence based education, “istruzione basata sull'evidenza”),
orientamento ideologico nato in Inghilterra negli anno 1980-'90 sotto i
governi Thatcher e Blair, con l'obiettivo di circoscrivere ogni
specializzazione accademica all'interno di esigenze produttive.
Depauperando la relazione educativa e i percorsi di crescita anche la
libertà professionale dell'insegnante è minacciata da un'omologazione
che produce un divario fra chi tira i remi in barca e chi sceglie di
assumersi gravose responsabilità.
Questo criterio trova coerenza in una selezione della popolazione
scolastica, tanto che più si impoveriscono le risorse all'istruzione più
aumentano le certificazioni (diagnosi neuropsichiatriche, BES - Bisogni
Educativi Speciali, DSA - Disturbi Specifici dell'Apprendimento, cioè
dislessie, discalculie ecc. che in Italia sfiorano il 4% della
popolazione contraddicendo i riscontri della letteratura
neuroscientifica: quanti i falsi positivi?). Si concretizza un'ingerenza
delle istituzioni clinico-sanitarie su quelle scolastiche. Il
determinismo organicista trova così una sponda fertile per diagnosticare
e “curare” soggetti socialmente deboli, discriminando scelte di vita e
vincolando approcci pedagogici.
Il coinvolgimento al sapere
In alcuni progetti scolastici e nelle circolari ministeriali si
riscontrano ripetutamente lemmi avvincenti, con un'insistenza tale da
farli corrispondere ai loro significati opposti. Che senso ha la
“soggettività” quando diventa specchio di imposizione di uniformità? È
una menzogna affermare che il rispetto per le soggettività debba
prevedere un Piano Didattico Personalizzato (PDP) in quanto l'attenzione
alle singole esigenze dovrebbe essere intrinseca ad ogni relazione
educativa, senza supporti vincolanti. I PDP inducono a ridurre le
aspettative tramite strumenti compensativi e dispensativi, producono uno
stigma che tramutano una difficoltà momentanea (ad es. la sofferenza
dovuta a un trauma, a un lutto o altre esperienze infelici) in
cronicità, cioè in un giudizio permanente.
La correlazione fra basso rendimento scolastico e deficit
intellettivo/disagio socio-economico è una forzatura ideologica: molte
esperienze pedagogiche dimostrano che quando la relazione educativa sa
offrire i giusti stimoli, senza imporre criteri formativi e valutativi,
il coinvolgimento al sapere si ravviva spontaneamente. Eppure il basso
rendimento scolastico viene spesso associato a “comportamenti non
gestibili”, diventa cioè un sintomo da ricondurre a un deficit del
bambino/a, deresponsabilizzando la didattica.
La “disabilità intellettiva”, nomenclatura ereditata dal DSM-5 (manuale
delle malattie mentali, quinta edizione) in sostituzione del “ritardo
mentale”, copre il 68,4% delle disabilità certificate.
Nelle cartelle cliniche neuropsichiatriche si trovano espressioni come:
deficit di felicità; scarso senso di colpa; difficoltà di codifica delle
informazioni sociali; disordine dell'identità; carenza di adattabilità;
reazione incontrollata di fronte alle frustrazioni; deficit di empatia;
manifestazioni emotive povere/eccessive; propensione innaturale a
lasciare la propria patria, quest'ultima dedicata a minori stranieri non
accompagnati. C'è da stupirsi se il 12% delle certificazioni riguarda
le nuove generazioni migranti?
Minkowski definì l'anomalia come “un elemento di variazione individuale
che impedisce a due esseri di potersi sostituire in modo completo”,
proponendo un approccio filosofico in grado di superare la dicotomia
sano/patologico per affermare quanto sia ipocrita l'imposizione di un
giudizio conformante e quanto autoritario il voler ricondurre i
comportamenti a una giustezza assoluta che faccia coincidere la
normalità con la verità.
Il tentativo di dare una codificazione scientifica alle anomalie di
comportamento è vecchio quanto la psichiatria ma, essendo questo un
ambito prettamente culturale, le dimostrazioni si avvalgono di giudizi
morali che diventano clinici per un atto di magia del marketing. Del
resto è il DSM (il manuale delle malattie mentali redatto dalla
psichiatria americana) a dichiararlo: nella sua quinta edizione del 2013
si legge: “Le cause organiche sono ancora sconosciute”. Non a caso la
psichiatria è l'unica specializzazione medica che rende ufficiali le
patologie soltanto quando ha a disposizione la molecola individuata come
farmaco elettivo. Fra gli esempi più noti il metilfenidato (MPH),
brevettato nel 1954 dalla Ciba-Geigy; negli anni '70 negli USA vengono
diagnosticati 150.000 casi di deficit attentivo; nel 1980 il DSM-III
include questa patologia (ADD), da curare con MPH, alla quale nel 1994
il DSM-IV aggiunge l'iperattività (ADHD). Allargati i criteri
diagnostici, nel 1998 si raggiungono i 6 milioni di minori curati con
una sostanza che tuttora l'OMS classifica nella stessa tabella delle
molecole psicoattive più nocive; gli ultimi dati delle prescrizioni
americane si avvicinano agli 11 milioni, a partire dai 2 anni di età, ma
le cifre si fanno via via imprecise a causa della tendenza a descrivere
comorbidità (diagnosi multiple) con conseguente cocktail farmacologico.
Effetti collaterali molto gravi
Il giro d'affari degli psicofarmaci è talmente elevato che i bilanci
delle case produttrici preventivano cause legali e risarcimenti. Questa
tendenza è esportata in molti Paesi nonostante aumentino le voci
critiche della pediatria, della biologia e della pedagogia; in Italia
l'ADHD funge da spartiacque per altre certificazioni, i questionari per
lo screening - rinnegati dai medesimi autori dopo anni di diffusione -
nei documenti ufficiali di casa nostra sono considerati “strumenti
oggettivi”. I fautori della sperimentazione (screening nelle scuole) dei
primi anni 2000, che ha riportato nelle farmacie il MPH, sono tuttora i
responsabili di Linee guida, Protocolli, Registri dove si afferma che
“la mancata disponibilità di interventi psico-educativi non deve essere
causa di ritardo nell'inizio della terapia farmacologica”.
Il Registro ADHD è obbligatorio dopo la declassazione del farmaco, ma
paradossalmente nel Registro non vengono monitorati tutti i minori ai
quali viene prescritto, ma soltanto quelli sottoposti anche a terapia
psico-educativa (“trattamento combinato”). In attesa dei dati completi,
ci sono pressioni sul Ministero affinché tale Registro venga abolito.
Tutti i dati sul consumo di psicofarmaci in età pediatrica rilevano un
aumento esponenziale: l'European Journal of Neuropsychopharmacology,
limitatamente agli antidepressivi, denuncia un 40% di incremento in
Europa fra il 2005 e il 2012; altri studi confermano questa realtà
specificando quanto le percentuali siano sottostimate a causa del
ricorso a prescrizioni private o ad acquisti via internet. Queste
molecole assunte nell'età evolutiva producono effetti collaterali molto
gravi e ledono gli ormoni della crescita; le conseguenze delle cure
ormonali supplettive sono ancora poco documentate dalla letteratura
medica.
Mentre la verità sui risvolti medicalizzanti ha ancora lati oscuri,
raccogliamo le menzogne dei responsabili dei protocolli italiani
sull'ADHD quando affermano: “Gli effetti indesiderati sono modesti e
facilmente gestibili”, discostandosi nettamente dai giudizi della Food
& Drug Administration quando elenca: crisi maniacali e depressive
con tentativi di suicidio, gravi affezioni cardiache, diabete, ictus e
morte improvvisa.
Le circolari del Ministero dell'Istruzione dell'Università e della
Ricerca (Miur) identificano le istituzioni scolastiche come “comunità
educanti”, ma se così fosse sarebbero il luogo privilegiato
dell'incontro, del dialogo, della scoperta, della creatività dove
l'interscambio di dubbi, riflessioni e progettualità non riproponga la
disparità verticistica fra chi sa e chi non sa. Luoghi dove educare
(nell'etimologia del tirar fuori, stimolare) ed esperire siano una
modalità consolidata che, in prospettiva, possa fungere da prevenzione
alle difficoltà senza tradurle in “disturbi comportamentali”.
Il dialogo è l'ennesima menzogna se manca la capacità di ascolto e di
attenzione ai bisogni. Codificare i conflitti attraverso le categorie
cliniche del patologico è il fallimento della relazione: relazione
significa fenomenologia, la scommessa meno scontata, quella che parla il
linguaggio delle esperienze e del relativismo per antonomasia, l'unica a
restituire partecipazione attiva.
Nella scuola pubblica la carenza di spazi di riflessione procura
disorientamento: carichi di lavoro elevati, burocrazia, difficoltà a
cogliere le priorità nel sovrapporsi di impegni che tolgono energie da
dedicare all'insegnamento e alla relazione. Il CESP (Centro studi per la
scuola pubblica), cogliendo questa esigenza, organizza corsi di
aggiornamento per offrire riflessioni culturali, parallelamente
all'attività sindacale COBAS. Fra gli argomenti quello della
medicalizzazione degli studenti: in attivo una quindicina di
seminari/laboratori molto partecipati, occasioni di interscambio per
approfondimenti importanti anche per chi interviene nelle relazioni
introduttive.
La difesa dell'autodeterminazione nella relazione educativa e la
responsabilità nei confronti delle nuove generazioni ci spinge a svelare
le gabbie di menzogna o i “regimi di verità” per dirlo con M. Foucault;
rincorrere stereotipi è una deriva disumanizzante. La memoria ci ha
tradito a tal punto da voler, a nostra volta, tradire l'infanzia?
Chiara Gazzola
Nella consapevolezza di aver sintetizzato alcuni passaggi, rimando a: C.
Gazzola, S. Ortu, Divieto d'infanzia. Psichiatria, controllo, profitto,
BFS, Pisa 2018, pp. 94, € 10,00, seconda edizione aggiornata; note e
bibliografia in: http://www.bfs.it/edizioni/files/prefazioni/233.pdf
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