martedì 26 marzo 2019

70 anni fa moriva Antonin Artaud...

Poco prima di morire Artaud dà alle stampe un’opera fondamentale per comprendere il lascito di questo grande intellettuale. Una critica aspra e forte alla società, attraverso gli occhi di Vincent Van Gogh: come lui, “suicidato della società”.

Antonin Artaud muore il 4 marzo del 1948 nella sua piccola abitazione di Ivry-sur-Reine. Muore in estrema solitudine, come aveva trascorso gran parte della sua vita interiore: verrà ritrovato con una scarpa in mano, probabilmente stroncato da un’iniezione letale di sedativi. Più che teorico, profeta. Più che folle, geniale. E sempre e comunque inascoltato. Ad un altro grande folle genio aveva dedicato la sua ultima opera, Van Gogh, che definì "il suicidato della società” racchiudendo tutto il senso della sua stessa vita in poche, lucidissime, parole: "un pazzo è anche un uomo che la società non ha voluto ascoltare e a cui ha voluto impedire di pronunciare delle insostenibili verità".
L’irrappresentabile, attraverso la Crudeltà
Antonin Artaud protagonista del dramma "I Cenci" di Percy Bysshe Shelley, nel 1935.
in foto: Antonin Artaud protagonista del dramma "I Cenci" di Percy Bysshe Shelley, nel 1935.

Se per Brecht era stata dichiaratamente, socialmente e politicamente rivoluzionaria, per Artaud la rappresentazione teatrale ha avuto una valenza sovversiva molto più profonda e intima: quella psicologica e spirituale. L’esistenza umana, caratterizzata dal caos e seppellita sotto “strati di parole” vuote, era la vera protagonista e al tempo stesso spettatrice della sua idea di teatro. Ridotto dalla società contemporanea a “consumo momentaneo”, questo doveva tornare sulla scena nella sua più intima,vera e primordiale essenza: come “compimento dei più puri desideri umani”.

Puri i desideri umani, tanto quanto puro doveva essere il teatro stesso: una purezza che in Artaud è sinonimo di Crudeltà, di un sentimento di profonda avversione e repulsione verso tutto ciò che aveva snaturato la scena. Crudeltà per Artaud significava sacrificio degli elementi superficiali che trasformano il teatro in mero intrattenimento, e ritorno alla potenza ancestrale di gesti, musiche e luci per veicolare il messaggio. Sacerdoti infallibili di tale rituale sacro dovevano essere gli attori: dei “geroglifici animati”, degli “sciamani” capaci di mutare in atto l’irrappresentabile della vita umana.

Il teatro, diceva Artaud, è come la peste, morbo terribile che spinge in superficie lo spirito represso di ogni uomo, così come aveva fatto quella "follia" che lo ha accompagnato per gran parte della sua vita. Dipendente dagli oppiacei, e spesso sofferente di forti depressioni, l’autore francese venne più volte internato in manicomio per problemi psichici subendo anche, soprattutto negli ultimi anni, traumatici elettroshock e violente terapie.

Il lascito di Antonin Artaud è incommensurabile: centinaia di appunti, decine di riflessioni sugli aspetti meno scontati del fare teatro e alcune fra le opere più importanti del secolo come “Il teatro e il suo doppio” e “Poesie della crudeltà”. Ma è forse nell’ultimo testo, buttato giù un anno prima di morire, che Artaud ha lasciato il suo più crudele e veritiero messaggio: è in “Van Gogh il suicidato della società” che l’autore è stato capace di racchiudere se stesso.

Un atto di estrema sovversione intellettuale quella che Artaud compie nel guardarsi allo specchio e nel vedere riflesso il volto di Vincent Van Gogh. Entrambi divorati dalla loro stessa genialità, entrambi malati di verità e finzione al tempo stesso. Entrambi “suicidati della società”. La follia degli artisti, sostiene Artaud, è un’invenzione che il resto del mondo usa per difendersi dalle rivelazioni di menti superiori:

   '' Una società tarata ha inventato la psichiatria per difendersi dalle lucide indagini di certe menti superiori le cui facoltà di divinazione la infastidivano. No, Van Gogh non era pazzo, ma i suoi dipinti erano dei fuochi greci, delle bombe atomiche… Così la società ha fatto strangolare nei suoi manicomi tutti coloro di cui ha voluto sbarazzarsi o difendersi, poiché s’erano rifiutati di rendersi complici con lei di certe incredibili oscenità. Perché un pazzo è anche un uomo che la società non ha voluto ascoltare e a cui ha voluto impedire di pronunciare delle insostenibili verità.''


fonte: http://www.fanpage.it/

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