martedì 31 luglio 2018

MEGLIO MORTI CHE MATTI

di: Giuseppe Bucalo
note a margine delle campagne per i diritti civili delle persone sottoposte a trattamenti psichiatrici
Ogni battaglia per il riconoscimento dei diritti civili, parte sempre dal riconoscimento dell'altro come soggetto inviolabile, responsabile e libero di scegliere.
Nel campo della libertà di scelta terapeutica ci si fa forti del diritto al rifiuto delle cure sancito dall'articolo 32 della Costituzione ("Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana") e si afferma che è nella libera e informata volontà dell'individuo, l'unica e sola giustificazione all'intervento terapeutico del medico.
La battaglia per il diritto alla libertà di scelta terapeutica ha prodotto in questi anni, fra l'altro, il riconoscimento del diritto di ciascuno a dettare disposizioni rispetto al proprio fine vita, rifiutando interventi che ne possano allungare, oltremodo e fuori dalla sua libera scelta, l'esistenza.
E' pacifico e, ormai, universalmente accettato che le persone debbano e possano avere diritto di scegliere se accettare o meno le cure proposte dai medici, finanche nel caso estremo in cui questa scelta li porti alla morte.
La determinazione dei paladini dei diritti civili e della libertà di scelta terapeutica si arresta solo di fronte alle cure psichiatriche.
Per l'ordinamento e il senso comune puoi scegliere di morire ma non di rimanere matto.
L'imperativo della cura psichiatrica (oltreché sancita dalla legge 180 che regola il TSO per "malattia mentale") è tale da fornire alla psichiatria una sorta di obbligo e di licenza ad agire con ogni mezzo a sua disposizione. Tant'è che i "limiti imposti dal rispetto della persona umana", sanciti dal dettato costituzionale, vengono spesso superati con il beneplacito e la comprensione da parte della magistratura e dell'opinione pubblica.
Eppure oltre un secolo di storia delle pratiche psichiatriche dovrebbe far sorgere il dubbio sulla inutilità, la crudeltà e la violenza di tali "cure" e sulla liceità della loro somministrazione coatta. Potrebbe dare a ciascuno il coraggio di dire con chiarezza che "cure" tanto invasive e diagnosi tanto stigmatizzanti, non possono mai essere poste in essere senza la richiesta esplicita e il consenso informato di chi le subisce.
Siamo stati capaci, come società scientifica, di assegnare il nobel per la medicina alla lobotomia e alla malarioterapia. Siamo stati capaci di dedicare un ospedale (quello di Lisbona) a chi ha sperimentato la lobotomia.
Siamo stati (e siamo) capaci, come società civile, ad assistere alla morte fisica, civile e sociale di migliaia di esseri umani rei solo di lesa realtà, di essere semplicemente se stessi e di non rispondere più alle aspettative di chi sta loro intorno.
Ma non riusciamo ancora a dire: basta !
Di fronte alla morte di Francesco Mastrogiovanni, di Giuseppe Casu, di Andrea Soldi, di Mauro Guerra ... non osiamo dire che il trattamento sanitario obbligatorio (TSO) va abolito e che va riconosciuto agli utenti (in)volontari della psichiatria il diritto proprio di ogni cittadino di rifiutare le cure.
A volte mi chiedo cosa ci serve ancora, quale altra prova.

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