mercoledì 27 giugno 2018

Marija Aleksandrovna Spiridonova: emblematico utilizzo della psichiatria per fini politici

Lotta ai radicali liberi

«Coloro che resistevano al regime andavano nascosti sia all'opinione pubblica internazionale, sia in patria per non fare emuli. Ma processarli tutti sarebbe stato troppo costoso, e fucilarli troppo scandaloso. Non restava che il manicomio»
Così scrive Alexander Podrabinek, autore dell'opera La medicina punitiva in cui si ripercorre l'uso della psichiatria da parte del regime sovietico per neutralizzare i dissidenti. Non a caso Marija Spiridonova, una leader dei Socialisti Rivoluzionari di sinistra,  già eliminatrice nel 1906 dell'ispettore di polizia governatore di Tambov, venne rinchiusa in manicomio nel 1921. E quarant'anni dopo, nella patria del bolscevismo, entrava in vigore la circolare Per il ricovero d'urgenza dei malati di mente che rappresentano un pericolo pubblico, che estendeva il concetto di «atti socialmente pericolosi che rappresentano un grande rischio per la società». Ma sì, son tutte cose da vecchi regimi totalitari...
Invece no. Il professor Richard J. Bonnie, ordinario di Diritto e direttore della Facoltà di Legge dell'Università della Virginia, sarà costretto a rivedere ed ampliare un suo vecchio saggio intitolato L'abuso politico della psichiatria in Unione Sovietica e in Cina. Pubblicato all'indomani dell'11 settembre, il suo testo si apriva con queste parole: «A un primo sguardo, l'abuso politico della psichiatria sembra rappresentare una questione semplice e senza complicazioni: lo sviluppo della medicina come mezzo di repressione. L'incarcerazione psichiatrica di persone mentalmente sane viene uniformemente percepita come una forma di repressione particolarmente pericolosa, perché usa i potenti mezzi della medicina come fossero strumenti di punizione, e reca un profondo attacco ai diritti umani usando l'inganno e la frode. I dottori che permettono a se stessi di venire usati in questa maniera (di certo come collaboratori, ma anche come vittime di intimidazione) tradiscono la fiducia della società ed infrangono i loro obblighi etici più fondamentali in quanto professionisti. Quando la questione è così semplice, l'abuso politico della psichiatria è universalmente condannato. Persino i regimi che sostengono la repressione psichiatrica trovano moralmente imbarazzante ammettere di essere coinvolti in una pratica così corrotta».
È bastata una strage di avventori francesi lo scorso novembre per fare strage anche di queste ipocrisie che vedono l'orrore sempre a distanza, assegnandogli una comoda lontananza storica e geografica.
L'Ordine Nazionale dei Medici di Francia ha appena diffuso un promemoria sulla Prevenzione della radicalizzazione in cui si legge:
«Definizione di radicalizzazione:
"Per radicalizzazione, s'intende il processo attraverso il quale un individuo o un gruppo adotta una forma violenta d'azione, direttamente legata a una ideologia estremista a contenuto politico, sociale o religioso che contesta sul piano politico, sociale o culturale l'ordine stabilito" (Farhad Khosrokhavar)
La radicalizzazione non deve essere confusa con il fondamentalismo religioso (islam rigoroso): i fondamentalisti sono praticanti che adottano atteggiamenti culturali inflessibili ma non ricorrono alla violenza mentre i radicali legittimano o praticano atti di violenza.
La radicalizzazione si definisce con tre caratteristiche cumulative:
1. un processo progressivo
2. l'adesione a una ideologia estremista
3. l'adozione della violenza».
Sì, avete letto bene. Il fondamentalismo religioso, lo si può capire e quindi tollerare. Ma il radicalismo… Contestare l'ordine stabilito con la forza! Solo un pazzo terrorista, di fatto o in potenza, può farlo. Una persona sana, equilibrata, pacifica — quindi dedita solo al lavoro, a fare soldi per consumare merci — se ha qualche rimostranza da fare la affida al suo candidato di fiducia, oppure scrive una lettera di protesta a qualche giornale. Nulla di più. 
Per chi sgarra, nel migliore dei casi c'è il braccialetto elettronico o la camicia di forza.

Le ribelli che affrontarono Lenin


di Valeria Palumbo

«Avete sì mostrato e dato al popolo un po’ di giustizia. Ma avete preso per voi un potere mostruoso e al pari del Grande Inquisitore avete assunto l’autorità assoluta sui corpi e le anime dei lavoratori. E quando il popolo ha iniziato a respingervi, l’avete messo in catene per contrastare una sedicente “controrivoluzione” in atto... Ma io rifiuto la vostra giurisdizione, non vi accetto come tribunale che si arroga il diritto di giudicare le nostre idee... Se deve esserci un tribunale per giudicarci, io faccio appello all’Internazionale e al verdetto della Storia»: così Marija Spiridonova, nel novembre 1918, si rivolse al tribunale bolscevico che, dimenticando la sua lunga , dolorosa e coraggiosissima lotta contro il regime zarista e poi a favore della rivoluzione (anche bolscevica), voleva condannarla.

Marija Spiridonova fatta passare per matta
Marija aveva allora 34 anni. Sulle spalle si portava anche un passato di (convinta) terrorista. Era una donna precocemente invecchiata per le sevizie, il carcere e i lavori forzati. Era scampata a una condanna a morte zarista. Era entrata nel governo bolscevico. E si era subito accorta di aver sbagliato. Ne aveva denunciato le violenze e come risposta (forse fu il primo caso), i nuovi padroni di Mosca tentarono di farla passare per una pazza isterica. Alla fine, tra ricoveri, carcerazioni ed esilio, fu giustiziata nel 1941 sotto Stalin. Non aveva mai smesso di credere nella rivoluzione e nei contadini. Ed era lucidissima.

Poetesse e terroriste
Marija è una delle “ribelli” di cui Lorenzo Pezzica, archivista e storico milanese, racconta le vicende in un piccolo libro, imperdibile, Le magnifiche ribelli 1917-1921 (Elèuthera). Il saggio raccoglie le vicende di donne spesso dimenticate che unirono alla coerenza delle loro battaglie politiche anche un incredibile coraggio (furono quasi sempre torturate, violentate e costrette a regime di carcere duro sia sotto lo zar che sotto il primo regime sovietico), ma soprattutto un’analisi perfetta delle dinamiche di potere dei bolscevichi. Per questo sono state cancellate dalla stessa sinistra per decenni. Benché alcune di loro siano state senza dubbio sostenitrici del terrorismo e terroriste esse stesse (a cominciare dalla Spiridonova e da Dora Kaplan che tentò di uccidere Lenin), le loro idee politiche erano legate a una profonda fede nel popolo e nei lavoratori (e nelle lavoratrici).
 Kate Molchanova interpreta Dora-Fanny Kaplan, che tentò di uccidere Lenin, nel film «Mia nonna Fanny Kaplan» (2016) di Olena Demyanenko
«Realizzeremo i nostri ideali anche con la pietà e l’amore»
Disse la stessa Spiridonova, per salutare l’ingresso dei deputati contadini al Comitato esecutivo centrale panrusso dei soviet, il 15 novembre 1917: «Realizzeremo i nostri ideali, non soltanto con l’odio, ma anche con la pietà per tutti quelli che soffrono e con l’amore per tutti quelli che sono oppressi. Per i nostri ideali daremo tutto, la vita e forse anche l’onore. Dobbiamo scacciare le ultime tracce di schiavitù dalal nostra mentalità... Dobbiamo diventare migliori, più puri, più sinceri, in modo che nessuno osi dire che la nostra insurrezione genera odio e male. Sulle rovine della vecchia società sta nascendo, celata ai nostri occhi, una nuova società di giustizia e di amore». Inutile dire che il discorso fu giudicato poco bolscevico. Benché riaffermasse alcuni “miti” rivoluzionari e un’idea del potere quasi salvifico della ribellione.

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