mercoledì 19 novembre 2014

Contesto culturale

Breve estratto da una tesi di prossima pubblicazione.



La parzialità della visione psichiatrica viene messa in scacco dalla dipendenza culturale mostrata dalla diagnosi. Non è comprensibile infatti come uno sciamano africano e uno psicotico europeo, pur possedendo metaforicamente gli stessi sintomi (deliri, allucinazioni), vengano trattati in modo così diametralmente opposto dalle culture di appartenenza. Se lo sciamano è una figura di tutto rispetto al vertice della gerarchia di una qualsiasi tribù africana (poniamo ad esempio i Vatussi), l’individuo visionario e delirante che vive nelle nostre città è un cliente fisso dei CPS o del reparto di psichiatria, impegnati costantemente a monitorare quantità e qualità delle sue allucinazioni. Se la psichiatria vuole essere considerata una scienza medica, le sue diagnosi non dovrebbero essere così influenzate dalla comunità di appartenenza e dal pensiero corrente. Qualsiasi altro paragone con qualsiasi altra branca della medicina non regge e non può reggere il confronto. Ad esempio, un’insufficienza cardiaca è tale in qualsiasi contesto culturale; aver mangiato sano e condotto una regolare attività fisica può fare la differenza e ciò dipende dalla cultura di appartenenza, ma un infarto è tale in qualsiasi parte del mondo. Il richiamo costante alla neurologia, alle immagini diagnostiche di ultima generazione o al patrimonio genetico non risolvono la questione, sempre aperta, di una scienza medica costantemente impegnata nella ricerca di correlati biologici che dopo secoli di storia tardano ancora ad arrivare. Un imbarazzante segreto spesso ben celato dai discorsi degli psichiatri e dalla loro aura ammantata dall’ autorevolezza del camice bianco.  

Veronika

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