mercoledì 15 ottobre 2014

LE CASE FARMACEUTICHE SONO I CATTIVI.

(Articolo tratto dalla rivista Nihilismi curata e redatta da Valeria Disagio, cantante del Kalashnikov Collective ; da sempre i Kalashnikov si sono mostrati attivamente vicini alle tematiche antipsichiatriche con intenti di carattere controinformativo. Non a caso sul loro blog è presente un link tematiche che tratta tale tema con materiale scaricabile, recensioni, articoli, recensioni etc. Siamo ben felici di pubblicare contributi come questo e speriamo di riceverne ancora in futuro.
Per un approfondimento della rivista vi invitiamo a scaricarla da questo link: http://www.mediafire.com/view/48iknnxm2lvozu6/Nihilismi.n.1.pdf)

LE CASE FARMACEUTICHE SONO I CATTIVI (a cura di Pilade Fioravanti)
Indifendibili, è arcinoto, da svariati decenni incarnano alla perfezione tutti gli elementi negativi associati alle corporation. Come entità singole o come cartello (la famigerata Big Pharma), nel generale come nel particolare.
Peggio anche delle lobby di tabacco, armi e tonno in scatola, dato che il meccanismo del profitto è leggermente più astruso e, sulla carta, infinitamente più truce (anche se un filo più articolato dell’assioma canonico +malati+soldi).
Dalla creazione della gnugna alle varie porcate in Africa, materiale ce n’è.
Materiale che non troverete certo qui, è ovvio: la sede e gli spazi non sono adatti per uno storico dettagliato delle zozzerie compiute dalle case farmaceutiche, oltretutto non ho proprio voglia di imbarcarmi in una ricerca così titanica e il cecchino corporativo appostato sul tetto di fronte mi fa cenno di no quindi no, mi dispiace.
Poi si dovrebbero scremare le cazzate, e il mare magnum delle dietrologie e dei complottismi nel quale è inevitabile incappare in questa stronza contingenza storica è un forte deterrente.
Al limite c’è wikipedia (con Hrundi Bakshi che ringrazia in alto, namaste fratello), o un film non brutto come ‘The constant gardener’ (che vale più per le suggestioni, in realtà, ma quando è uscito molti papaveri di Big Pharma si erano già nascosti sotto il tavolo con uno scolapasta in testa, a titolo preventivo). No, qui si parla in modo parziale, impreciso e tendenzioso, senza alcuna competenza specifica. That’s the way I like it.
Superata la premessa metodologica, ecco il piatto forte – fortissimo cazzo, non sto più nella patta:
Un aspetto interessante e relativamente poco noto (ma non aspettatevi una verità inedita: con quello che avete pagato questo giornale ci mancherebbe pure) è quello del disease- mongering.
Che è poi, come dice la definizione, la commercializzazione delle malattie.
In soldoni: una casa farmaceutica ha lì un farmaco che vuole piazzare, per una patologia più o meno inesistente. Non proprio inesistente, dato che a monte c’è un’accurata osservazione di quelle che possono essere le ‘aree di interesse’, ovvero aspetti della salute ai quali le persone badano di più rispetto a prima: non esistono vere e proprie malattie ma si registra un incremento nel numero di disturbi, veri o presunti (presunti non nel senso che non fa male davvero, ma nel senso che forse non sono imputabili a quello), legati a quegli aspetti. C’è un margine, insomma. Per esempio – e la natura dell’esempio è piuttosto calzante – le varie magagne intestinali.
Siamo più nutriti, sedentari e piagnoni che prima: il cambiamento progressivo dello stile di vita ha fatto sì che i nostri pancini dessero più problemi. O forse no, ma siamo più ricchi e più mezzeseghe. L’inarrestabile tendenza a focalizzarci sul nostro ombelico ci porta spesso a riflettere su quello che c’è dietro (dietrologia+gastroenterologia =
robba forte), e dunque ci facciamo più caso rispetto a prima, quando toccava scendere in miniera all’alba per sfamare i nostri dodici figli e le nostri mogli quindicenni e di tempo per queste fregnacce proprio non ce n’era (e, per inciso, la gente non andava dal medico per un cagotto o per la mancata evacuazione, I suppose, ma forse sono un romantico passatista).
Allora la casa farmaceutica ti mette lì un nuovo prodotto, innovativo as fuck, e che cosa faccia questo mirabolante prodotto non è neanche così importante (mi avete preso per un foglietto illustrativo?): la questione è, a questo punto, inventarsi la patologia di riferimento. Ma non si può dire che la si sta inventando, la parola chiave è SENSIBILIZZARE (questa malattia c’è da una vita e miete più vittime dello scolo, come avete fatto a non accorgervene prima, babbi?).
Il procedimento è ben rodato. Si prendono un bel po’ di medici e li si invita ad un fondamentale convegno su un disturbo relativamente nuovo, la cui diffusione è in preoccupante crescita: la SINDROME DELL’INTESTINO IRRITABILE (in inglese IBS, che nei paesi sassoni se non hai un acronimo ma dove cazzo vai).
 Ovviamente, quelli sono gente studiata, quindi il convegno deve presentare qualche autentico elemento di interesse, qualche effettiva evidenza scientifica. E quali posti migliori per osservare le evidenze scientifiche, per esempio, delle isole tropicali (lo sapeva anche Darwin) o gli atolli corallini? Location comunque di pregio, dove il gotha della medicina mondiale non abbia nulla che lo distolga da un’accurata disamina di questa nuova, insidiosa sindrome - a parte il windsurf, lo snorkeling, i buffet e i cocktail con l’ombrellino.
Non è che sia corruzione – jeez, solo un pezzente in malafede la definirebbe corruzione - è una questione di stile, modi. Non è che puoi fare il convegno in una pensione al Lido degli Scacchi, con il catering a base di salama da sugo, nemmeno quello sull’unghia incarnita, perché i luminari (i cosiddetti KOL – Key Opinion Leader, quelli che rappresentano la scena insomma) non ci vengono mica.
And that’s the point.
La comunità scientifica è stata ora ‘sensibilizzata’, il materiale emerso nel corso del convegno (durante il quale un buon numero di cocktail con gli ombrellini sono andati anche ai più puri rappresentanti dei media) è stato diffuso, non resta che inondare di soldi un po’ di altra gente, mettere in piedi uno studio clinico e aspettare che il farmaco compaia sui migliori banchi del regno (augurandosi che, nel corso dello studio, qualche stronzo cagone non abbia il cattivo gusto di schiattarci, o che almeno non lo facciano in troppi).
Quindi, ricapitolando:
Abbiamo il nostro farmaco, che non è per cagare troppo né troppo poco. Regolarizza il dolore addominale, forse (responsabile, nel solo 1994 e nei soli USA, di un numero di decessi superiore a quelli causati dai morsi di anatra), o roba così.
Abbiamo fatto il nostro bel congresso alle Barbados, in seguito al quale la comunità medica si è finalmente resa conto del flagello rappresentato dalla SINDROME DELL’INTESTINO IRRITABILE, una patologia che ora esiste e affligge oceani di persone (dati proprio precisi è difficile trovarne, ma stai a guardare il capello).
Abbiamo messo in piedi, o foraggiato, associazioni di pazienti colpiti da IBS e forum su internet, inoltre numerosi giornalisti hanno, del tutto disinteressatamente, pubblicato una serie di articoli sulla faccenda. La comunità delle persone che, in tutto il globo, controllano a fatica lo sfintere e hanno spesso il mal di pancia ringrazia di cuore, con una festosa salva di peti (wink wink).
A questo punto non ci resta che salvare il mondo.
Per finire, un piccolo episodio, che all’epoca mi ha colpito (da allora bevo solo acqua distillata, mi lavo con acqua piovana e mangio solo fegato di agnello crudo. Ho anche messo la rete elettrificata fuori casa e pago un ninja per proteggermi, ma lo vedo poco):
C’è questo film dei Fratelli Coen, uno di quei passamano che i due simpaticoni cagano fuori a cadenza regolare. Anzi, è proprio un inutile e piuttosto scadente remake di un film più bello con attori più meglio, quasi mi dispiace parlarne e il titolo non ve lo dico, non ci arriverete mai.
Le differenze con l’originale sono parecchie ma abbastanza irrilevanti, e vanno tutte a discapito del remake. Tra queste, i personaggi e le loro caratteristiche.

Uno di loro – J.K.Simpson, sempre ottimo, il buonismo mi impone di segnalarlo – dà vita a una serie di travolgenti gag incentrate sul suo disturbo. Ne parla proprio un sacco, ne discute con gli altri affermando che si tratta di una malattia vera e che ha conosciuto la sua attuale compagna tramite un’associazione di pazienti affetti da quel disturbo, di cui soffre un’infinità di gente. È proprio una cosa che ti ricordi, alla fine del film, e non si capisce poi bene perché, dato che l’effetto comico è minimo e penosamente datato.
Beh, io lo so che non ci crederete mai ma proprio mai, quindi non ve lo dico neanche.
Un brutto mondo questo, comunque.
Pilade Fioravanti

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