Persone sottoposte ad ogni sorta di sevizie col solo scopo di farle smettere di dire o di fare ciò che pensano, vedono, vogliono. Persone chiamate malate per il loro modo di pensare, di vivere o di percepire. Persone che spesso sentono voci che altri non sentono: voci che spesso sono quanto più di umano attraversa le loro vite.
Potrebbe sembrare naturale che a furia di praticare una relazione attiva con esseri extraordinari come i matti si finisca per interessarsi a ciò che dicono, sognano, affermano o fanno. In realtà non è così. Il nostro interesse primario è quello di zittirli, di farli ragionare, di aiutarli a vivere una vita ‘normale’. Non importa se ci consideriamo oppressori o liberatori, se azzeriamo le persone con gli psicofarmaci oppure le normalizziamo attraverso la psicoterapia, se le puniamo con un ricovero o le premiamo facendo loro lavorare la creta: ciò che conta è riuscire a convincerli che ciò che sentono è frutto della loro fantasia e che non può essere vero. Questo atteggiamento è peggiore di qualsiasi muro, manicomio, elettroshock, camicia di forza che ci siamo potuti inventare, perché condanna all’inesistenza assoluta chi ne è vittima.
Nessun uomo e nessuna verità esiste se non ha credito presso un altro essere umano: gli psichiatrizzati trasformati in persone incredibili smettono di esistere, diventano oggetti delle nostre cure o delle nostre paure, delle nostre statistiche o dei nostri esperimenti. E noi? Visti dalla loro parte non siamo tanto diversi dalle cose che li tengono a freno, legati e abbandonati negli angoli: siamo fatti della stessa materia delle cinghie, delle grate, degli aghi, delle porte… cose messe a guardia di altre cose. Mi ci sono voluti anni per incominciare a prestare ascolto e a dar loro credito, anni per accorgermi che non avevo di fronte degli scherzi della natura o della cultura, ma delle persone viventi, crocevia di sentimenti, conoscenze, esperienze e desiderio… proprio come me.Salvatoreun giorno qualunque mi stava davanti facendo si e no con la testa continuamente. Rispondeva alle mie domande su cosa avesse mangiato e dove volesse andare a prendere un caffè etc. ma continuava il suo dialogo interiore con chissà chi, mentre io snocciolavo una serie inesauribile di banalità per cercare di distrarlo… Inutilmente.
Qualcosa mi prese in un attimo. Ero sicuro di essere reale e vero e, quindi, certamente più forte di qualsiasi sua fantasia. Lo sfidai. Dissi qualcosa come: "Visto che sei impegnato in chissà quale discussione. Fammi sentire quello che senti, fammi partecipare alla discussione". Salvatore si fermò un attimo come se lo avessi colpito nel più profondo dei suoi segreti. Poi scandì: "Brutto bastardo ti ammazzo. Io non voglio nascere!". In un attimo fui catapultato all’interno di questo mondo parallelo che vive, respira e comunica accanto a noi e di cui non percepiamo l’esistenza. Quelgiornoprovai solo paura: era come se avessi pestato inavvertitamente la coda ad un felino famelico e crudele. Salvatore si era trasformato in un attimo da quell’essere dormiente inebetito dai farmaci che appariva, in un moloch sanguinario e distruttivo. Cominciai a scaricare una serie infinita di parole e banalità come a voler spegnere un incendio. Salvatore si spense di nuovo e io tirai un sospiro di sollievo. Poi, lentamente ma inesorabilmente, qualcosa cominciò a tarlarmi dentro: cosa era stato il nostro rapporto fino ad allora? Con chi avevo parlato e chi mi aveva risposto? Cosa sapevo di ciò che lui realmente sentiva? E quante volte lui mi aveva salvato dalla mia cecità e stupidità? E ancora, come sarebbe stato possibile per me e per lui vivere e comunicare con quel mostro che gli parlava dentro? Ed era il solo? Chiunque si interessava a Salvatore avrebbe dovuto interessarsi a quella voce che parlava con lui.
Invece intorno non facevamo altro che tenerlo sottocchio e ricacciarlo indietro ogni volta che provava a dirci quello che succedeva. Da allora, e per molti anni dopo, ho cominciato a nutrire il più assoluto rispetto per questi uomini e queste donne che vivono in un territorio incredibile e impossibile di cui non sappiamo niente. Con molti abbiamo percorso questa strada fino al punto in cui la mia normalità mi consente e oltre, e abbiamo incominciato ad incontrarci e a scambiare esperienze con altri uditori di voci e, altre persone, che come me, sono disposte a credere che questo è solo uno dei modi di esistere e questo è solo uno dei mondi possibili. Qual'e' la tesi sostenuta in questo libro? Il libro cerca di aiutare la comunicazione fra le persone e le voci, e fra le persone che le sentono e chi non le sente. La tesi in fondo è semplice: il rapporto con le voci è una vera e propria relazione interumana e va compresa, accettata e vissuta come tale. Ciò non significa che sia necessariamente positiva o gratificante, così come non lo sono molte delle nostre relazioni, né che sia qualcosa di statico e di dato una volta per sempre, perché al contrario è un rapporto dinamico che può cambiare in relazione al nostro stesso atteggiamento.
Qualsiasi tentativo di confronto con questa esperienza deve partire dall’accettazione dell’esistenza reale delle voci. Ciò vale tanto per chi le sente, quanto per chi cerca di comprenderne la natura. La persona che afferma di sentire le voci le sente realmente, così come è capace di sentire la nostra voce allarmata di fronte a quanto ci sta dicendo. Il resto se vogliamo viene da sé. Una volta che l’esperienza viene riportata su un piano di realtà, i possibili sviluppi e le implicazioni non sono molto distanti da quelli che si verificano in qualsiasi relazione umana. Possiamo sentirci ossessionati da questa presenza oppure trovarla di conforto, possiamo subirne il fascino così come possiamo non tenerla in nessuna considerazione, possiamo crederle oppure non darle alcun credito…Tutto dipende dalla nostra sensibilità e dal contesto in cui viviamo in quel momento, ma dipende anche dalla Voce, dalla sua natura e dai suoi scopi. Una Voce è una comunicazione. La ricerca allora può essere quella di definire chi comunica, cosa e a chi. L’esperienza ci dice, intanto, che già questo modo di impostare la questione pone la persona in una posizione più favorevole nel processo digestionedelle voci.
Al contrario, ritenere le voci delle allucinazioni o dei sintomi di una qualsivoglia malattia mentale, isola la persona che le sente in una situazione in cui niente può contro la loro invasione, né contro l’invasione, ben più distruttiva, delle cure psichiatriche nella sua mente. A guardare bene la psichiatria è fra tutte le ipotesi possibili circa la natura e le origini delle voci, l’unica che sembra porsi l’obiettivo di rivendicare alle voci il dominio sulla mente delle persone. Posso riassumere brevemente le tesi fondamentali del libro in questi punti: sentire voci non è una malattia, ma un modo e una possibilità della percezione umana; questa esperienza percettiva, come ogni altra che riguarda i nostri sensi e la nostra sensibilità, non va curata, né trasformata a priori, ma compresa e gestita; occorre dialogare con le voci: non serve far finta di niente o cercare di distrarsi; la gestione di questo dialogo nasce dal riconoscerlo come tale e dal confrontarsi apertamente e chiaramente con le voci circa la loro identità e le possibili influenze reciproche; le voci esistono, ma ciò non significa che abbiano sempre ragione; le voci hanno a che fare con noi, ma ciò non significa che esse siano nostre fantasie o che vogliano necessariamente il nostro bene; non siamo i soli a sentirle: sentire voci è un’esperienza reale e universale; occorre conoscere e mettersi in contatto con gli altri uditori: solo chi sperimenta o ha sperimentato questa esperienza può aiutarci.
Quali sono le testimonianze scientifiche (e non) a favore di questa tesi? Tutti coloro che per motivi personali o di studio si sono avventurati nel tentativo di comprendere il mondo e l’esperienza degli uditori alla fine hanno dovuto riconoscere la realtà di questa esperienza. Nel libro si cita ad esempio Jung, nella sua doppia veste di uditore/uomo di conoscenza. Egli, più di ogni altro, rivendicò il valore di realtà della vita psichica. Oggi attraverso la lettura della sua autobiografia (Sogni, Ricordi e Riflessioni, Rizzoli), possiamo aver chiaro il contesto umano in cui questa e le altre sue idee sono nate. Jung visse in prima persona l’irrompere dell’inconscio collettivo nella sua esistenza. Questi eventi per molti anni furono costituiti da visioni e comunicazioni con voci che guidarono la sua riflessione, misero a serio rischio la sua integrazione sociale e furono rielaborate, infine, all’interno della sua idea dell’uomo e delle sue relazioni con le energie psicologiche e archetipiche. Anche a costo di sminuire agli occhi dei suoi seguaci, la figura di Jung, possiamo dire che egli riuscì a percorrere fino in fondo la strada che si apre dalla breccia nel reale costituita dall’udire voci inudibili e porta ad una più profonda conoscenza di se stessi e della realtà, evitando di essere diagnosticato pazzo.
E’ quello che succede alla stragrande maggioranza dei pazienti psichiatrici i cui pensieri, conoscenze ed esperienze, invece di essere salutate come forme di conoscenza umana vengono chiamate deliri. Jung è riuscito a trovare ragioni e sensi per il suo delirio: il delirio stesso è diventato realtà. Le esperienze umane non vanno curate, ma realizzate. Questo è uno dei primi assunti della pratica antipsichiatrica, che è un’altra delle componenti "scientifiche" che sostengono questa tesi, soprattutto per quanto riguarda l’effetto devastante e distruttivo delle diagnosi psichiatriche. Citerei Ronald Laing, Morton Shatzmann. David Cooper, Thomas Szasz, che più di altri hanno mostrato che la "malattia mentale" non esiste. In realtà ci troviamo di fronte a possibilità umane, inquietanti e meravigliose, che la nostra cultura e la nostra mente non sanno (non vogliono o non possono) accettare o tollerare. Laing, più che gli altri, annotò il fatto che la psichiatria oltre a perpetrare un errore tragico nel trasformare in malattia ciò che malattia non è, condanna le persone a rimanere "pazze" per tutta la vita: impedisce loro il ritorno dal viaggio interiore che ogni esperienza di follia rappresenta.
Concordo con Laing che non si dovrebbe avere paura di impazzire, ma si dovrebbe essere aiutati a farlo da persone che hanno già fatto questo stesso viaggio e con il supporto di altri che accettano di essere "solo" testimoni e di non interferire con la meta del viaggio.
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