Questo
testo affronta la violenza strutturale che regola la vita all’interno
di moltissimi centri residenziali per persone con disabilità o fragilità
psichica. Si parte dai maltrattamenti avvenuti nella struttura di
Montalto di Fauglia gestita dalla Stella Maris, passando per gli abusi
all’interno delle strutture della Cooperativa Dolce di Bologna, per
arrivare agli orrori della Comunità Shalom, nel bresciano. Una violenza
capillare sostenuta quotidianamente dal silenzio di moltissimi
“professionisti”, tecnici dei servizi, operatori, assistenti ed
educatori.
Il
3 Ottobre 2023 al Tribunale di Pisa si terrà una nuova udienza per i
maltrattamenti avvenuti nella struttura di Montalto di Fauglia gestita
dalla Fondazione STELLA MARIS. Una vicenda sepolta nel silenzio che ha
trovato nell’ultimo anno il supporto e il sostegno del Collettivo
antipsichiatrico Antonin Artaud.
Il
Consulente Tecnico chiamato dalla procura a relazionare sui fatti ha
scritto: “Leggendo gli atti del presente procedimento abbiamo rinvenuto
sicuramente la menzione di una lunga tradizione di abuso e violenza da
parte degli operatori, radicata negli anni, e in parte tollerata, in
parte ignorata della direzione delle strutture”. Ed ancora: “In queste
situazioni si sviluppano degenerazioni in cui la violenza e la
sopraffazione divengono gli strumenti usati ogni giorno, e l’istituzione
perde le sue caratteristiche terapeutiche per divenire un luogo
meramente coercitivo e afflittivo” facendo riferimento a condotte
“tipiche delle istituzioni totali”. Si parla di maltrattamenti fisici,
verbali e trattamenti degradanti quotidiani. Spintoni, schiaffi, minacce
e vessazioni costanti, talmente palesi da lasciar presumere abusi anche
peggiori. Una violenza non episodica ma strutturale.
Delle
diciassette persone coinvolte, il processo attualmente vede ancora
imputati quindici tecnici e operatori, tra cui le due dottoresse che
gestivano la struttura e il Direttore Sanitario della Stella Maris. Un
operatore ha patteggiato la pena, mentre il Direttore generale Roberto
Cutajar, che ha scelto il rito abbreviato, è stato condannato a 2 anni e
8 mesi, per essere infine assolto nel processo d’appello.
Tra
gli ospiti della struttura ricordiamo Mattia, morto nel 2018 per
soffocamento in seguito al blocco della glottide dovuto alla
somministrazione prolungata ed eccessiva di psicofarmaci. I continui
cambi di terapia avevano comportato disfunzionalità e rischi al momento
dei pasti di cui la famiglia non è mai stata informata. Il processo in
primo grado si è chiuso con nessuna responsabilità da parte dei medici e
della struttura.
Non crediamo nella giustizia dei tribunali, sappiamo che nessuna sentenza metterà fine o scalfirà questa violenza.
L’orrore
di Montalto di Fauglia lo ritroviamo nell’uccisione per contenzione
avvenuta la notte del 27 agosto 2012 all’interno della struttura ‘Casa
Dolce’ di Casalecchio di Reno (in provincia di Bologna) gestita dalla
Cooperativa Sociale Dolce. Quella sera M., 20 anni, vorrebbe continuare a
giocare con la playstation ma le regole interne alla struttura non lo
consentono. Gli operatori si impongono. Il giovane non cede. Si apre uno
scontro di potere che Michael perde pagando con la vita.
L’indagine
del PM si concentra su tre operatori sociosanitari della cooperativa,
indagati per omicidio colposo. Secondo l’autopsia M. è morto per
asfissia meccanica, soffocamento. Mentre due operatori lo tenevano un
terzo gli si sarebbe seduto sopra, all’altezza del torace. Il processo
dura quattro anni e si conclude per tutti con l’assoluzione ‘perché il
fatto non costituisce reato’. Viene sostenuta la legittimità della
contenzione, la correttezza delle manovre effettuate, la loro
corrispondenza ai “protocolli”. La rispettabilità pubblica della
Cooperativa Dolce, dei suoi dirigenti responsabili e di tutta la
struttura ne esce intaccata, pulita, mentre niente all’interno della
stessa viene messo in discussione.
La
testimonianza che abbiamo raccolto di un operatore a tempo determinato
assunto a ‘Casa Dolce’ qualche anno dopo l’uccisione di M., racconta il
protrarsi di un’attitudine alla violenza verbale e al confronto fisico
punitivo/violento da parte di molti operatori della residenza, accettato
pressoché da tutta la struttura come ‘normale amministrazione’.
Di
recente una nuova indagine ha visto coinvolta ancora la Cooperativa
Dolce per quanto riguarda un’altra struttura in provincia di Bologna
(Budrio),’Villa Donini’. Si parla di botte e insulti ai danni di persone
disabili, schiaffi in testa e umiliazioni. Dodici operatori socio
sanitari dipendenti della cooperativa sono stati interdetti dalla
professione per un anno con l’accusa di maltrattamenti. Nonostante
l’enormità dei fatti, sul territorio intorno a questa vicenda regna un
silenzio sovrano.
Anche
quanto emerso all’interno della comunità Shalom parla della stessa
violenza. Abusi sistematici, insulti, minacce, punizioni degradanti e
inumane, privazione del sonno, isolamento e crudeltà come metodo. Una
presunta Comunità terapeutica che non cura le persone: le maltratta, le
umilia, le sradica dalla propria umanità. Dove gli ‘educatori’ vengono
spesso individuati tra le persone che in precedenza hanno subito lo
stesso trattamento, selezionati senza alcun tipo di formazione per dare
continuità ai metodi repressivi, avvilenti e degradanti, pratiche che
ancora oggi caratterizzano la comunità. Negli anni più volte la
struttura è finita nel mirino per situazioni di tortura ben lontane da
episodi sporadici o accidentali. Un’ampia organizzazione che fa mostra
di sé per la presunta accoglienza incondizionata, ma che vive di metodi
distanti anni luce dall’offrire cura e sostegno a ragazzi e ragazze che
vivono periodi di fragilità. Al di là della bella facciata che mostra
all’ingresso, Shalom è disfacimento, afflizione e miseria.
Sebbene
questa vicenda abbia avuto grande impatto a livello mediatico, il
sensazionalismo legato al marketing dell’informazione ha già pressochè
rimosso quanto avvenuto e le sue implicazioni. Non accettiamo la
retorica della “comunità degli orrori” e della “mela marcia”, la
comunità Shalom è conosciuta e attiva da lungo tempo nel bresciano e
trattamenti inumani e degradanti come abbiamo visto non sono stati
affatto un’eccezione al suo interno, come del resto in moltissime altre
strutture.
Privato
accreditato, grandi cooperative, fondazioni; enti che muovono molti
soldi e che spesso esercitano anche una certa influenza nei rispettivi
territori: la Stella Maris ad esempio è considerata un’eccellenza a
livello nazionale, riceve abbondanti finanziamenti e onorificenze dalla
Regione Toscana, la Cooperativa Dolce è una mega cooperativa che gode di
ampio appoggio e gestisce moltissimi servizi nel bolognese, la Shalom è
sempre stata sostenuta da personaggi di rilievo.
Questi
racconti mettono sotto gli occhi di tutti i dispositivi
coercitivi/degradanti insiti in questa tipologia di strutture, dove le
persone, ridotte ad oggetti, diventano il bersaglio di violenze e
sopraffazioni quotidiane. Luoghi dove la contenzione fisica e
farmacologica è consuetudine e dove le prepotenze sono ordinarie e
strutturali.
Riteniamo
sia importante non spegnere i riflettori su una violenza così estesa,
capillare, non episodica, accettata e sostenuta quotidianamente dal
silenzio di moltissimi “professionisti”, tecnici e operatori, assistenti
ed educatori, ci piacerebbe partire da qui, dall’omertà che sorregge
questi abusi, che non sono episodi, ma più spesso la prassi che regola
queste strutture.
Assemblea Rete Antipsichiatrica
Per condividere esperienze e riflessioni: assembleaantipsichiatrica@inventati.org
Link:
Gli abusi alla Stella Maris e la storia di Mattia
Sull’uccisione di Michael all’interno di Casa Dolce
Sugli abusi a Villa Donini
Sugli abusi alla Shalom
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