In riferimento alla recente pubblicazione degli atti del seminario in oggetto, tenutosi nel corso dell'XI
incontro di liberazione animale, si ritiene necessaria una critica
aperta. Il testo a cui si fa riferimento, spesso
pone l'attenzione su singoli aspetti tematici, tuttavia nell'affrontare le presunte connessioni tra i due
argomenti, esprime molti elementi di contradditorietà, molte approssimazioni. Iniziamo dunque ad
anal
izzarne la portata speculativa, all'interno di un sincero dibattito sul tema.
Nell'introduzione all'importante testimonianza di Giuseppe Bucalo, viene menzionato come intento degli
organizzatori, quello di schierarsi a fianco e non alla guida di quegli ani
mali che agiscono per la propria
libertà, salvo poi riconoscere l'inevitabilità di tradurre la loro protesta attraverso parole umane. Per
rappresentare la condizione animale si utilizzano termini quali resistenza, rivolta, evasione, addirittura
tentativo d
i vita diversa. Parole che si fissano inevitabilmente a concetti, di cui non si può disconoscerne
l'implicazione e la densità storica. A tal proposito, non si cerca attraverso questo elaborato critico, di
minimizzare la complessità dell'essere animale nell
e sue manifestazioni fisiche, psichiche, emotive, affettive
e perchè no anche culturali. Oggetto della contestazione, sono le argomentazioni rispetto le quali sarebbe
possibile associare esistenze animali ad esistenze psichiatriche, manicomi e canili, in v
irtù di un comune
assoggettamento ad un apparato repressivo. La debolezza teorica delle argomentazioni in oggetto è frutto
di un riduzionismo che confonde un sistema che opera in modo repressivo, in vista di una razionalità
produttiva (allevamenti intensi
vi) o scientifica (vivisezione) ed un altro che opera "creativamente",
attraverso tecniche finalizzate a fornire le prove scientifiche della patologia. Foucault, introduce a tal
proposito il concetto di visibilità della malattia. A cosa servirebbe amminist
rare il denaro dei pazienti se non
a sottoporre questo stato di privazione alla visibilità e al giudizio altrui? Difatti, si dissente da quanto
sintetizzato da Giuseppe Bucalo, attraverso questo pensiero: "In ambito psichiatrico non c'è niente che non
sia
esclusivamente parola o definizione: perchè non c'è nessuna sostanza, non c'è nessuna malattia e non
c'è nessuna cura. Tutto è sorretto dalle parole", poichè non è il logos ad attivare il pregiudizio, ma lo
sguardo. E' esponendosi alla visibilità che si pr
ovoca un'emozione, per incutere timore la malattia mentale
deve esprimersi attraverso l'evidenza di una sintomatologia. Nel testo si trova un raffronto rispetto a
quanto detto, tuttavia si tratta di una citazione isolata e si disperde nella genericità dell
a discussione. Si
esprime l'importanza di elaborare narrazioni diverse, costruire un'altra storia, tuttavia a tal proposito viene
menzionata l'esperienza di Giorgio Antonucci per esaltarne le gesta di "regista" del gesto di liberazione. Ci si
dimentica dun
que che quelle persone...si sono liberate!!! Ma come...così attenti
\
e verso gli ultimi e vi siete
dimenticati
\
e di loro??? Queste defaillances rimandano all'inevitabilità di costruirsi narrazioni rassicuranti e
affidarsi ai liberatori di professione, conse
gnando i pazienti psichiatrici al ruolo passivo della vittima,
proprio ciò che più volte viene retoricamente criticato. Servono si narrazioni diverse, ma in prima persona.
Il racconto di Giuseppe riguardo alla propria esperienza antipsichiatrica è sicurame
nte molto emozionante
e ricco di vivide suggestioni, ma quando la narrazione cerca raffronti nell'ambito dello sfruttamento
animale i pensieri appaiono confusi. Cita l'addomesticamento come fattore unificante tra i due argomenti,
dimenticando che è una con
dizione universale di assoggettamento e non relativa alla sola sfera psichiatrica.
Giuseppe esprime comunque un pensiero condivisibile: riguardo agli animali conosciamo ben poco.
Possiamo avvicinarci a loro, relazionarsi con rispetto verso esseri ed esist
enze diverse, ma non si può far a
meno di rappresentarli nell'immaginario collettivo, nella cultura popolare, dunque di oggettivarli. Proprio
questo spunto introduce un altro elemento di critica. Nella documentazione prodotta si parla solo
dell'approccio p
sichiatrico come negazione della libera espressione, dell'intenzionalità ad autodeterminarsi,
omettendo che mediazione e contrattazione son concreti elementi su cui poggia la convivenza sociale.
Come telefono viola, si preferisce approcciarsi alle autobiog
rafie, alle esperienze, alle scelte e ai
comportamenti, non attraverso categorie identitarie fisse, ma con la consapevolezza di accogliere possibili
espressioni della transitorietà di un percorso evolutivo, che è ogni esistenza umana. Non ci interessa fare
la
narrazione del gesto ribelle, per introdurre la complessità delle storie e raccontare la psichiatria. Si è
consapevoli che la conflittualità è un elemento importante nella trama psichiatrica, ne è talvolta la
protagonista, tuttavia la psichiatria agisc
e in modo preventivo, poichè il fine ultimo non è la repressione,
bensì la presa in carico, il governo del vivente. Difatti, i servizi psichiatrici attraverso "l'eccezionalità" delle
loro misure, attaccano direttamente gli elementi di normalità nella vita
dei pazienti: l'autonomia e le
relazioni sociali. Le relazioni tecniche sperimentate, scoraggiano legami di complicità che solo un amico o
amica ti può dare...magari insieme ad un rimando critico!!! Spesso le persone che si incontrano, ci
riportano di rius
cire a stringere relazioni significative e leali solo con altri pazienti psichiatrici, ciò misura la
distanza del cosiddetto mondo normale con la moltitudine dei cosiddetti matti. A proposito di
normalità...ma anche di solitudine!
Succede così che, sul lun
go periodo, il bisogno più esplicito che esprime una persona "in carico" ai servizi,
sia proprio autodeterminarsi attraverso l'acquisizione di elementi della quotidianità che il pregiudizio e la
prassi psichiatrica trasfigurano, per poi surrogarli sotto fo
rma di "percorso terapeutico".
Il lavoro del telefono viola, spesso muove a partire da una prospettiva di riduzione del danno. Questa
condizione ci ha abituati all'ascolto, al dialogo, alla negoziazione. Grande ricchezza di questo percorso, è
mettersi in
gioco in vista di un miglioramento sostanziale nella condizione di vita di chi ci contatta. Questo
obiettivo altamente soggettivo, spesso passa attraverso la richiesta di afferrare punti fermi, come per
esempio un lavoro, una casa, minacciati dall'istituz
ionalizzazione.
In un intervento contenuto negli atti, si legge che nei manicomi è difficile ribellarsi così come in un
allevamento. A scanso di equivoci è opportuno risottolineare la funzione dei luoghi della psichiatria. Gli
SPDC servono anche a gestire
"l'emergenza", ma sono soprattutto i luoghi in cui viene estorta una "falsa
confessione", dove la malattia prende le sembianze di un corpo, dove si mettono a punto le condizioni e le
strategie della presa in carico, dove si interiorizza l'habitus del mala
to mentale. Dopotutto, il senso è
implicito nella sua denominazione: la diagnosi è la rappresentazione scientifica di questa visibilità, di questa
confessione estorta attraverso tortura; la cura è la prassi in vista di una presa in carico. Pertanto, il
con
tributo che può dare la vivisezione nel realizzare quadri diagnostici in ambito psichiatrico, come
affermato nel testo, è pur sempre di dubbia portata vista la presenza di un "setting così reale", per usare il
loro cinismo. Infine, nel dibattito si parla d
i un'ulteriore connessione tra i due ambiti, rispetto alla presenza
di due dimensioni: quella etica e quella scientifica. La questione psichiatrica non può esser risolta senza
affrontare la sua dimensione politica e gli interrogativi che essa pone. La post
a in gioco è la negazione del
diritto di scegliere se e come curarsi. Non tanto è giusto o sbagliato, vero o falso. Porre l'attenzione
sull'obbligatorietà dei trattamenti, aiuta a riflettere su come il nostro senso di comunità sia attraversato
dalla paura,
tanto da sacrificare avanzamenti civili importanti sull'altare della psichiatria. Rispetto a
quest'ultimo concetto conveniamo con Giuseppe, quando parla di una mediazione per favorire una risposta
sociale diversa dalla psichiatria. E' necessario che indiv
idui e comunità non ne abbiano più bisogno,
attraverso una partecipazione diretta nelle decisioni che la riguardano direttamente. Dopotutto, la
convivenza è la sfida più importante.
Telefono Viola Bergamo,Piacenza,Sicilia
www.telefonoviola.org
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