Stiamo vivendo un momento molto difficile e drammatico per la nostra
società. Se da una parte si assiste ad un progressivo aumento del
malessere individuale e di conseguenza del numero di persone che stanno
vivendo con difficoltà la solitudine a cui sono costrette, dall’altra
c’è il rischio di un aumento dei contrasti interpersonali e della
conflittualità familiare dovuti alla convivenza forzata. Le donne che
subiscono violenza domestica si vedono obbligate a coabitare con i loro
aggressori, aumentano i casi di persone giovani costrette, date le
difficoltà di sostenere un canone d’affitto, a tornare a vivere con la
famiglia d’origine, portando così a una rinnovata centralità il modello
di famiglia patriarcale. Anche i bambini e gli adolescenti, privati
della libertà di socializzare, giocare e interagire, si trovano a vivere
una situazione particolarmente difficile.
Come collettivo antipsichiatrico siamo preoccupati per l’aumento dei
suicidi, per il frequente ricorso al TSO (Trattamento Sanitario
Obbligatorio), per il possibile aumento del consumo di psicofarmaci e
della contenzione fisica all’interno dei reparti psichiatrici di
diagnosi e cura. Denunciamo l’utilizzo del taser per sedare le persone
in difficoltà, come è avvenuto qualche settimana fa all’interno di un
ufficio postale di Torino dove un uomo è stato stordito dai carabinieri e
lasciato a terra in attesa dell’arrivo dell’ambulanza, a causa di un
diverbio scoppiato con le altre persone presenti nell’ufficio postale
poiché privo di mascherina.
Preoccupante anche la situazione negli Istituti di pena già in stato di
sovraffollamento cronico. Mai come ora si rende evidente la necessità
del superamento del carcere con modelli di pena alternativi.
Improrogabile un’amnistia generale, la liberazione dei detenuti per le
lotte sociali, dei tossicodipendenti, dei sofferenti di presunte
patologie psichiatriche e in generale di tutti coloro che scontano pene
per reati connessi alle fallimentari leggi proibizioniste sulle droghe.
La crisi economica e sociale che stavamo vivendo, prima dell’inizio
della pandemia, rischia di amplificarsi e travolgere la maggior parte
della popolazione. In Italia il Covid-19 ha accelerato un processo in
corso da anni, volto a demolire il Servizio Sanitario Nazionale a
beneficio delle sempre più numerose cliniche private, mediante politiche
bipartisan di tagli, aziendalizzazione e privatizzazione; è difficile
pensare a una reale tutela della salute quando la priorità da parte
delle Asl e delle aziende ospedaliere è quella di rispettare i bilanci.
Da subito il Covid-19 ha mostrato di “essere un virus per ricchi” e
sempre più persone iniziano a capire che non siamo tutti sulla stessa
barca. Un prezzo altissimo lo sta già pagando chi non ha una casa o è
costretto a condividerla con altri in spazi inadeguati; chi è obbligato
a svolgere il proprio lavoro senza i mezzi di sicurezza idonei, chi
l’ha perso o chi è impossibilitato a portarlo avanti poiché in nero. C’è
poi chi non può beneficiare dello smart working e della teledidattica
perché non possiede un computer in casa e una connessione internet
affidabile. Ma come fa chi non ha documenti, chi è senza casa, chi non
ha accesso ai servizi sanitari, all’ammortizzatori sociali? Le persone
che si trovano in strada per necessità rischiano un ulteriore
inasprimento della loro situazione, dal punto di vista giudiziario e
sanitario. Ci chiediamo che ripercussioni avrà questo stato di emergenza
su chi vive già in una condizione di isolamento ed esclusione?
Mentre assistiamo al martellante appello all’unità nazionale, milioni di
persone si trovano ancora costrette ad andare al lavoro, il più delle
volte su mezzi pubblici sovraffollati, senza protezioni di alcun tipo e
soprattutto in settori assolutamente non essenziali come quello della
produzione di armi o di beni lusso.
È molto probabile che chi ci governa tenterà di far pagare i costi di
questa emergenza alle lavoratrici, ai lavoratori e ai soggetti più
fragili; non c’è alcuna volontà di aggredire i grandi patrimoni privati
attuando meccanismi di redistribuzione della ricchezza. Le emergenze
sociali e sanitarie chiedono un cambiamento nella distribuzione delle
risorse collettive che invece, negli ultimi decenni, sono state
dirottate senza sosta dal pubblico al privato, con il plauso di
industriali e banchieri.
Solo in questi ultimi giorni ci stiamo rendendo conto di come molti
contagi siano avvenuti all’interno di Fondazioni e Istituzioni private,
nelle RSA (Residenze Sanitarie Assistite) e nelle residenze
psichiatriche senza che siano state prese misure di sicurezza adeguate.
All’interno di queste strutture un’umanità indifesa soggiace spesso
silenziosamente all’abuso sociale di chi l’ha dichiarata ormai
improduttiva e quindi sacrificabile. I responsabili delle strutture,
quando si sono manifestati nuovi casi, hanno deciso di trincerarsi
dentro e di chiudere ogni contatto con l’esterno, pur non avendo i mezzi
per contrastare la diffusione del virus (nella regione Lombardia,
secondo la delibera emessa, chi è anziano, poiché troppo a rischio, non
dovrebbe essere curato in terapia intensiva quindi le responsabilità
sono a livello regionale). Il risultato in molte zone è la diffusione
massiccia dell'epidemia e a farne le spese sono in primo luogo gli
anziani over 80, gli intrasportabili e lo stesso personale sanitario che
lavora a rischio della propria vita.
In una struttura psichiatrica in provincia di Genova gli effetti causati
dall'epidemia di Coronavirus sono stati drammatici: su 40 ospiti 38
sono risultati positivi al tampone e la malattia ha fatto registrare per
il momento tre morti. A Milano nella RSA della Baggina ci sono stati
200 decessi, in provincia di Brescia in una struttura per donne
ex-psichiatrizzate le perdite di vite umane sono state 22. Tra le altre
regioni la Toscana non è da meno: su 320 RSA di cui 56 commissariate e
affidate a gestione Asl ci sono stati circa 170 decessi. Una riflessione
sullo Stato garante è dovuta: il governo a inizio marzo aveva
dichiarato che la situazione era sotto controllo ma è stato subito
smentito dai fatti. I tamponi per il personale sanitario sono arrivati
in ritardo e le mascherine si stanno diffondendo alla spicciolata a due
mesi distanza dall'emergenza mentre i governatori giocano al palleggio
delle proprie responsabilità, nelle zone "sospese" come la Valseriana,
intanto si sono sacrificati gli anziani e i soggetti più vulnerabili.
Vedremo che cosa ci prospetterà la cosiddetta fase 2.
Come non pensare anche ai morti nelle Rems e nelle carceri a causa del
Covid19? Una situazione come quella attuale dimostra che il superamento
delle istituzioni totali debba essere fra gli obiettivi delle nostre
lotte. I pazienti psichiatrici affetti da Covid 19 sono doppiamente a
rischio: secondo la testimonianza di un medico in Lombardia gli
psicofarmaci interferiscono con le cure ponendo un problema immediato di
dosaggio, che a sua volta provoca uno stato depressivo facilitando
l’azione del virus o uno stato euforico in cui il paziente spesso si
strappa la mascherina d’ossigeno a rischio della vita. In pratica questi
medici che non sono psichiatri ma internisti o virologi si trovano a
modulare una terapia su dei pazienti di cui ignorano completamente la
storia clinica.
Da settimane i media continuano a descrivere questa realtà come uno
stato di guerra, in cui i nostri ospedali sono le odierne trincee, in
una narrazione dei fatti tesa ad alimentare quella paura ed insicurezza
collettiva sulla quale si legittimano e trovano consenso tutte le scelte
della gestione securitaria cui stiamo assistendo.
L’utilizzo sempre più generalizzato dei social e delle tecnologie
digitali ispira nuovi paradigmi della sorveglianza e riconfigura
l’organizzazione del lavoro; certo i social network facilitano i
contatti interpersonali ma non sostituiranno mai il bisogno di relazioni
sociali non mediate intrinseco alla nostra specie; c’è il rischio
piuttosto che le nuove tecnologie finiscono per stravolgere e inaridire
ulteriormente i rapporti sociali già parecchio sfilacciati da modelli
economici, politici e culturali che ci vengono presentati come
ineluttabili. La retorica che ci presenta il nuovo paradigma digitale è
del tutto subordinata a logiche di controllo totale e iper
sfruttamento. Non dimentichiamo inoltre che ogni singola connessione non
fa che arricchire le multinazionali dei Big Data oltre a riempirne gli
archivi con i nostri dati personali che consentiranno profilazioni
sempre più raffinate.
Fondamentalmente la costruzione mediatica di una contrapposizione tra la
libertà individuale e la salute pubblica è stata coltivata ad arte dai
mezzi di comunicazione. Si è scelto di criminalizzare i comportamenti
individuali e farli diventare un vero e proprio capro espiatorio per
nascondere gli interessi degli industriali, che chiedevano e chiedono a
gran voce di continuare la produzione nonostante gli evidenti rischi di
nuovi contagi e focolai. Nel contempo il cittadino diventa complice e,
sentendosi investito del ruolo di sceriffo, finisce per denunciare chi, a
parer suo, non rispetta le norme.
È evidente che i dispositivi di protezione individuale e il mantenimento
della distanza di sicurezza siano utili per contenere il contagio, ma
il rischio è di finire in una spirale di controllo sociale repressivo e
permanente. Se da un lato il senso di responsabilità ci impone di
rispettare le misure di distanziamento sociale per arginare il contagio e
preservare la salute collettiva, dall’altra non possiamo non
rivendicare come tale scelta, apparentemente convergente con le
restrizioni imposte dai decreti, sia mossa da ragioni ben diverse da
quelle del Governo. Oltre allo smantellamento del sistema sanitario ad
opera dei governi degli ultimi anni non va dimenticato come i nuovi
dispositivi di controllo della popolazione (repressione del dissenso e
delle condotte devianti, tracciamento degli spostamenti,
militarizzazione delle strade, negazione del diritto di sciopero ecc …)
cui è ricorso lo Stato in questo periodo in nome della salute pubblica,
molto probabilmente resteranno anche a emergenza finita e andranno ad
arricchire quell’armamentario di decreti sicurezza e legislazione di
emergenza che già oggi limita le nostre libertà individuali e
collettive. Ci sarà da comprendere, vigilare e forse difendersi da un
futuro “Stato Dottore” che sarà sempre più legittimato a controllarci e
medicalizzarci in nome di una salute pubblica sempre più lontana dai
bisogni di tutti.
L'attuale pandemia dice con chiarezza che bisogna spostare lo sguardo
dal profitto economico ai reali bisogni della umanità e del pianeta,
perché in certe situazioni o ci si salva tutti, e insieme, o non si
salva nessuno.
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
antipsichiatriapisa@inventati.org - www.artaudpisa.noblogs.org – 3357002669
giovedì 23 aprile 2020
sabato 18 aprile 2020
Un contributo antispsichiatrico sull’impatto del COVID-19
fonte: https://senzanumero.noblogs.org
La situazione che stiamo vivendo costituisce un attacco frontale alla nostra esistenza su più fronti e ci spinge individualmente e, talvolta, collettivamente a riflettere sui meccanismi di controllo messi in atto, sull’effetto della repressione sulla nostra quotidianità e sull’impatto a breve e lungo termine che tutto questo avrà sulle nostre reti.
Sin dall’inizio dell’emergenza, si sono moltiplicati i contributi, le riflessioni e le analisi sul tema COVID-19, e come collettivo antipsichiatrico abbiamo sentito l’esigenza di confrontarci, interrogandoci sul contributo che ci interessava apportare alla discussione in corso. Ci siamo resx conto che, come spesso accade, anche nelle analisi che reputiamo più valide e condivisibili, manca un pezzo importante di ragionamento (fatte alcune eccezioni, vedi https://educattivi.noblogs.org/post/2020/04/02/corona-virus-ordinanze-e-marginalita/; https://artaudpisa.noblogs.org/post/2020/04/01/link-a-intervista-su-radio-blackout-la-psichiatria-ai-tempi-del-covid-19/):
come stanno e dove sono le persone psichiatrizzate?
Rispondere a questa domanda non è importante solo per capire materialmente le condizioni di vita di queste persone in una fase di impoverimento del contatto e delle relazioni, ma anche per aggiungere un elemento di analisi dei dispositivi di repressione e controllo che si stanno articolando in questo periodo.
Eppure, di salute mentale si sta parlando, anche più del solito, nei mezzi di informazione. Ma la salute di chi? A che fine? Da un lato c’è la psicologia prêt-à-porter, che si sostanzia di articoli, post, decaloghi su come prevenire l’ansia o la depressione, dispensando consigli e strategie per affrontare nel migliore dei modi la quarantena e l’isolamento sociale imposti. In pratica un modo per addolcire la pillola, cullandoci nell’illusione di un bene superiore che ci unisce come comunità: la salute pubblica. I servizi di supporto psicologico, nati anche comprensibilmente in questa fase, rischiano di alimentare questo meccanismo, perché finalizzati a contenere le diverse forme di disagio derivanti dalla situazione e a favorire l’accettazione dello stato di cose.
Dall’altro lato, si insiste spesso sulla pressione a cui è sottoposto il personale medico-sanitario che sta gestendo l’emergenza, che costituisce un importante fattore di rischio per il burnout e sembra aver portato in alcuni casi al suicidio. Anche in questo caso, forme di disagio che generalmente vengono invisibilizzate o contrastate perché disfunzionali alla macchina produttiva della società capitalista, trovano uno spazio nella narrazione perché strumentali ad alimentare una retorica di unità popolare.
Allo stesso modo, l’ipocondria e l’alienazione sociale, che generalmente vengono stigmatizzate, ridicolizzate e sminuite, sono ora incoraggiate perché funzionali a sostenere i meccanismi di sospetto, distanza e delazione verso chi “infrange le regole”. Ecco che la malattia mentale, quando serve, non è più un problema.
Ma torniamo alla domanda iniziale: che ne è di tutte quelle forme di disagio psichico che comunque è impossibile far rientrare in questa narrazione dominante? Ci sembra che i meccanismi di stigma e invisibilizzazione non siano affatto cambiati. Cosa sta succedendo realmente non lo sappiamo: le informazioni sono indirette, spesso giornalistiche e non c’è alcun dato ufficiale. Possiamo presupporre che i Trattamenti Sanitari Obbligatori (T.S.O.) stiano continuando come d’abitudine: il decreto-legge dell’8 marzo 2020 – che ha rinviato la maggior parte delle udienze nei procedimenti civili e penali – include le udienze di convalida dei T.S.O. da parte dei giudici tutelari tra i procedimenti che non vengono invece sospesi. Inoltre, alcuni articoli di giornale (https://www.nursetimes.org/quarantena-e-isolamento-mandano-in-tilt-gli-italiani-numero-di-tso-in-costante-aumento/83466/amp) parlano di un aumento dei T.S.O. in alcune città, come Torino.
È facile immaginare che il dispositivo del T.S.O., da sempre al servizio del mantenimento dell’ordine sociale, sia in questa fase complice del controllo capillare che si intende esercitare sui corpi che resistono: il 10 marzo è uscita la notizia di una donna di 78 anni che, col sostegno dei familiari, intendeva opporsi al ricovero presso il policlinico di Monza disposto per alcuni sintomi da lei presentati, che facevano pensare al contagio da COVID-19; le forze dell’ordine sono a quel punto intervenute e hanno effettuato un T.S.O. in attesa dell’esito del tampone (https://www.ilmessaggero.it/salute/storie/coronavirus_rifiuta_ricovero_ospedale_monza_tso_ultime_notizie-5102818.html).
Le telecamere dei telegiornali ci portano ogni giorno nei reparti di terapia intensiva, scavando nel vissuto dei pazienti per allertare la popolazione. Nelle ultime settimane si è iniziato a dare attenzione anche alla situazione critica delle Residenze Sanitarie Assistenziali (R.S.A.) che all’inizio dell’emergenza sono state trattate come depositi di vite di scarto (le persone anziane) dove scaricare parte dei pazienti che le terapie intensive non riuscivano più a ospitare. Sui reparti psichiatrici invece continua a regnare il silenzio: come vengono tutelati i pazienti? E il personale che ci entra in contatto? Le persone esterne hanno diritto di visita? Parte del personale medico sta iniziando a chiedere l’adozione di linee guida nazionali in merito per evitare un “nuovo caso R.S.A.” (http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=83473).
Ci preme infine sottolineare che la retorica del #iorestoacasa, che esalta gli aspetti romantici e privilegiati dell’isolamento, non tiene conto delle oppressioni di genere, classe e salute. Chi vive situazioni di violenza domestica, non può restare a casa serenamente. Chi non può permettersi il lusso di godersi il tempo libero della quarantena, non può restare a casa perché deve uscire a lavorare. Chi vive una situazione di disagio psichico non può essere costretto a fare affidamento solo sulla famiglia / conviventi e privarsi totalmente delle reti di supporto, cura e condivisione, che sono spesso l’unica strategia di resistenza in un mondo stigmatizzante e mattofobico.
Ci raccontano che facciamo tuttx parte di una grande comunità che lotta insieme contro un nemico, il virus. Noi vogliamo invece ricordare che, al di là di ogni retorica, ci sono vite che continuano a non valere, vite che continuano a essere di scarto, invisibili, ribelli, che non si identificano in questa comunità nazionalpopolare. Noi ci sentiamo di farne parte.
SENZANUMERO – Collettivo Antipsichiatrico
La situazione che stiamo vivendo costituisce un attacco frontale alla nostra esistenza su più fronti e ci spinge individualmente e, talvolta, collettivamente a riflettere sui meccanismi di controllo messi in atto, sull’effetto della repressione sulla nostra quotidianità e sull’impatto a breve e lungo termine che tutto questo avrà sulle nostre reti.
Sin dall’inizio dell’emergenza, si sono moltiplicati i contributi, le riflessioni e le analisi sul tema COVID-19, e come collettivo antipsichiatrico abbiamo sentito l’esigenza di confrontarci, interrogandoci sul contributo che ci interessava apportare alla discussione in corso. Ci siamo resx conto che, come spesso accade, anche nelle analisi che reputiamo più valide e condivisibili, manca un pezzo importante di ragionamento (fatte alcune eccezioni, vedi https://educattivi.noblogs.org/post/2020/04/02/corona-virus-ordinanze-e-marginalita/; https://artaudpisa.noblogs.org/post/2020/04/01/link-a-intervista-su-radio-blackout-la-psichiatria-ai-tempi-del-covid-19/):
come stanno e dove sono le persone psichiatrizzate?
Rispondere a questa domanda non è importante solo per capire materialmente le condizioni di vita di queste persone in una fase di impoverimento del contatto e delle relazioni, ma anche per aggiungere un elemento di analisi dei dispositivi di repressione e controllo che si stanno articolando in questo periodo.
Eppure, di salute mentale si sta parlando, anche più del solito, nei mezzi di informazione. Ma la salute di chi? A che fine? Da un lato c’è la psicologia prêt-à-porter, che si sostanzia di articoli, post, decaloghi su come prevenire l’ansia o la depressione, dispensando consigli e strategie per affrontare nel migliore dei modi la quarantena e l’isolamento sociale imposti. In pratica un modo per addolcire la pillola, cullandoci nell’illusione di un bene superiore che ci unisce come comunità: la salute pubblica. I servizi di supporto psicologico, nati anche comprensibilmente in questa fase, rischiano di alimentare questo meccanismo, perché finalizzati a contenere le diverse forme di disagio derivanti dalla situazione e a favorire l’accettazione dello stato di cose.
Dall’altro lato, si insiste spesso sulla pressione a cui è sottoposto il personale medico-sanitario che sta gestendo l’emergenza, che costituisce un importante fattore di rischio per il burnout e sembra aver portato in alcuni casi al suicidio. Anche in questo caso, forme di disagio che generalmente vengono invisibilizzate o contrastate perché disfunzionali alla macchina produttiva della società capitalista, trovano uno spazio nella narrazione perché strumentali ad alimentare una retorica di unità popolare.
Allo stesso modo, l’ipocondria e l’alienazione sociale, che generalmente vengono stigmatizzate, ridicolizzate e sminuite, sono ora incoraggiate perché funzionali a sostenere i meccanismi di sospetto, distanza e delazione verso chi “infrange le regole”. Ecco che la malattia mentale, quando serve, non è più un problema.
Ma torniamo alla domanda iniziale: che ne è di tutte quelle forme di disagio psichico che comunque è impossibile far rientrare in questa narrazione dominante? Ci sembra che i meccanismi di stigma e invisibilizzazione non siano affatto cambiati. Cosa sta succedendo realmente non lo sappiamo: le informazioni sono indirette, spesso giornalistiche e non c’è alcun dato ufficiale. Possiamo presupporre che i Trattamenti Sanitari Obbligatori (T.S.O.) stiano continuando come d’abitudine: il decreto-legge dell’8 marzo 2020 – che ha rinviato la maggior parte delle udienze nei procedimenti civili e penali – include le udienze di convalida dei T.S.O. da parte dei giudici tutelari tra i procedimenti che non vengono invece sospesi. Inoltre, alcuni articoli di giornale (https://www.nursetimes.org/quarantena-e-isolamento-mandano-in-tilt-gli-italiani-numero-di-tso-in-costante-aumento/83466/amp) parlano di un aumento dei T.S.O. in alcune città, come Torino.
È facile immaginare che il dispositivo del T.S.O., da sempre al servizio del mantenimento dell’ordine sociale, sia in questa fase complice del controllo capillare che si intende esercitare sui corpi che resistono: il 10 marzo è uscita la notizia di una donna di 78 anni che, col sostegno dei familiari, intendeva opporsi al ricovero presso il policlinico di Monza disposto per alcuni sintomi da lei presentati, che facevano pensare al contagio da COVID-19; le forze dell’ordine sono a quel punto intervenute e hanno effettuato un T.S.O. in attesa dell’esito del tampone (https://www.ilmessaggero.it/salute/storie/coronavirus_rifiuta_ricovero_ospedale_monza_tso_ultime_notizie-5102818.html).
Le telecamere dei telegiornali ci portano ogni giorno nei reparti di terapia intensiva, scavando nel vissuto dei pazienti per allertare la popolazione. Nelle ultime settimane si è iniziato a dare attenzione anche alla situazione critica delle Residenze Sanitarie Assistenziali (R.S.A.) che all’inizio dell’emergenza sono state trattate come depositi di vite di scarto (le persone anziane) dove scaricare parte dei pazienti che le terapie intensive non riuscivano più a ospitare. Sui reparti psichiatrici invece continua a regnare il silenzio: come vengono tutelati i pazienti? E il personale che ci entra in contatto? Le persone esterne hanno diritto di visita? Parte del personale medico sta iniziando a chiedere l’adozione di linee guida nazionali in merito per evitare un “nuovo caso R.S.A.” (http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=83473).
Ci preme infine sottolineare che la retorica del #iorestoacasa, che esalta gli aspetti romantici e privilegiati dell’isolamento, non tiene conto delle oppressioni di genere, classe e salute. Chi vive situazioni di violenza domestica, non può restare a casa serenamente. Chi non può permettersi il lusso di godersi il tempo libero della quarantena, non può restare a casa perché deve uscire a lavorare. Chi vive una situazione di disagio psichico non può essere costretto a fare affidamento solo sulla famiglia / conviventi e privarsi totalmente delle reti di supporto, cura e condivisione, che sono spesso l’unica strategia di resistenza in un mondo stigmatizzante e mattofobico.
Ci raccontano che facciamo tuttx parte di una grande comunità che lotta insieme contro un nemico, il virus. Noi vogliamo invece ricordare che, al di là di ogni retorica, ci sono vite che continuano a non valere, vite che continuano a essere di scarto, invisibili, ribelli, che non si identificano in questa comunità nazionalpopolare. Noi ci sentiamo di farne parte.
SENZANUMERO – Collettivo Antipsichiatrico
giovedì 9 aprile 2020
COVID-19 e le persone con disabilità psicosociali
Ci è stato chiesto di diffondere e lo facciamo volentieri. Fonte: https://www.ilcappellaiomatto.org
Dichiarazione delle organizzazioni
regionali e internazionali di persone con disabilità psicosociali, con
raccomandazioni nel contesto della pandemia di COVID-19. Ora disponibile
in italiano.
Statement by regional and international organizations of people with psychosocial disabilities with recommendations in the context of COVID-19 pandemic. Now available in Italian.
Scarica qui: http://www.chrusp.org/home/covid19
Statement by regional and international organizations of people with psychosocial disabilities with recommendations in the context of COVID-19 pandemic. Now available in Italian.
Also available in English, Spanish, French, Arabic, Japanese, Chinese (simplified and traditional) and Portuguese.
Download: http://www.chrusp.org/home/covid19
Center for the Human Rights of Users and Survivors of Psychiatry
14 h ·
Dichiarazione
delle organizzazioni regionali e internazionali di persone con
disabilità psicosociali, con raccomandazioni nel contesto della pandemia
di COVID-19. Ora disponibile in italiano.
Scarica qui: http://www.chrusp.org/home/covid19
Scarica qui: http://www.chrusp.org/home/covid19
mercoledì 8 aprile 2020
Scuola e medicalizzazione
di Chiara Gazzola , Fonte http://www.arivista.org/?nr=442&pag=69.htm segnalato da Collettivo Artaud
La scuola italiana è ben lungi dall'essere una comunità educante. Tagli alle risorse e aumento di certificazioni dimostrano quanto le difficoltà espresse da ragazze/ragazzi vengano lette come sintomi di malattie e affrontate in termini medici e farmacologici.
<<La verità è la menzogna più profonda.>> Friedrich Nietzsche
La nostra epoca, a causa di una proficua pianificazione, è caratterizzata da un diffuso malessere esistenziale e dal dilagare di menzogne, indorate dal termine anglosassone fake news.
Il trionfo del neoliberismo invade anche tutti i contesti educativi e formativi. La scuola, perdendo i valori pedagogici di attenzione ai diritti e ai bisogni, acquisisce peculiarità aziendali evidenziate da neologismi (debiti, crediti, profitto, competenze, ottimizzazione dei tempi, raggiungimento di risultati): i continui tagli alle risorse inducono a un'elevata competizione fra i plessi con “offerte formative” di addestramento al mercato del lavoro, test di valutazione standardizzati, abolizione di interdisciplinarietà ed elaborazione critica delle conoscenze.
Nella scuola primaria, abolite le compresenze di insegnanti, l'approccio al sapere basato sulla ricerca è spesso sostituito da apprendimenti ottenuti in tempi ristretti e valutati attraverso quiz. Si innesca una concorrenzialità irrispettosa delle complessità tipiche dell'età evolutiva che produce ansia da prestazione e discriminazione fra chi emerge e chi è costretto nelle retrovie.
La tendenza a svilire e soppiantare il sapere umanistico, pedagogia compresa, a favore di applicazioni tecnicistiche si origina dal criterio EBE (Evidence based education, “istruzione basata sull'evidenza”), orientamento ideologico nato in Inghilterra negli anno 1980-'90 sotto i governi Thatcher e Blair, con l'obiettivo di circoscrivere ogni specializzazione accademica all'interno di esigenze produttive. Depauperando la relazione educativa e i percorsi di crescita anche la libertà professionale dell'insegnante è minacciata da un'omologazione che produce un divario fra chi tira i remi in barca e chi sceglie di assumersi gravose responsabilità.
Questo criterio trova coerenza in una selezione della popolazione scolastica, tanto che più si impoveriscono le risorse all'istruzione più aumentano le certificazioni (diagnosi neuropsichiatriche, BES - Bisogni Educativi Speciali, DSA - Disturbi Specifici dell'Apprendimento, cioè dislessie, discalculie ecc. che in Italia sfiorano il 4% della popolazione contraddicendo i riscontri della letteratura neuroscientifica: quanti i falsi positivi?). Si concretizza un'ingerenza delle istituzioni clinico-sanitarie su quelle scolastiche. Il determinismo organicista trova così una sponda fertile per diagnosticare e “curare” soggetti socialmente deboli, discriminando scelte di vita e vincolando approcci pedagogici.
Il coinvolgimento al sapere
In alcuni progetti scolastici e nelle circolari ministeriali si riscontrano ripetutamente lemmi avvincenti, con un'insistenza tale da farli corrispondere ai loro significati opposti. Che senso ha la “soggettività” quando diventa specchio di imposizione di uniformità? È una menzogna affermare che il rispetto per le soggettività debba prevedere un Piano Didattico Personalizzato (PDP) in quanto l'attenzione alle singole esigenze dovrebbe essere intrinseca ad ogni relazione educativa, senza supporti vincolanti. I PDP inducono a ridurre le aspettative tramite strumenti compensativi e dispensativi, producono uno stigma che tramutano una difficoltà momentanea (ad es. la sofferenza dovuta a un trauma, a un lutto o altre esperienze infelici) in cronicità, cioè in un giudizio permanente.
La correlazione fra basso rendimento scolastico e deficit intellettivo/disagio socio-economico è una forzatura ideologica: molte esperienze pedagogiche dimostrano che quando la relazione educativa sa offrire i giusti stimoli, senza imporre criteri formativi e valutativi, il coinvolgimento al sapere si ravviva spontaneamente. Eppure il basso rendimento scolastico viene spesso associato a “comportamenti non gestibili”, diventa cioè un sintomo da ricondurre a un deficit del bambino/a, deresponsabilizzando la didattica.
La “disabilità intellettiva”, nomenclatura ereditata dal DSM-5 (manuale delle malattie mentali, quinta edizione) in sostituzione del “ritardo mentale”, copre il 68,4% delle disabilità certificate.
Nelle cartelle cliniche neuropsichiatriche si trovano espressioni come: deficit di felicità; scarso senso di colpa; difficoltà di codifica delle informazioni sociali; disordine dell'identità; carenza di adattabilità; reazione incontrollata di fronte alle frustrazioni; deficit di empatia; manifestazioni emotive povere/eccessive; propensione innaturale a lasciare la propria patria, quest'ultima dedicata a minori stranieri non accompagnati. C'è da stupirsi se il 12% delle certificazioni riguarda le nuove generazioni migranti?
Minkowski definì l'anomalia come “un elemento di variazione individuale che impedisce a due esseri di potersi sostituire in modo completo”, proponendo un approccio filosofico in grado di superare la dicotomia sano/patologico per affermare quanto sia ipocrita l'imposizione di un giudizio conformante e quanto autoritario il voler ricondurre i comportamenti a una giustezza assoluta che faccia coincidere la normalità con la verità.
Il tentativo di dare una codificazione scientifica alle anomalie di comportamento è vecchio quanto la psichiatria ma, essendo questo un ambito prettamente culturale, le dimostrazioni si avvalgono di giudizi morali che diventano clinici per un atto di magia del marketing. Del resto è il DSM (il manuale delle malattie mentali redatto dalla psichiatria americana) a dichiararlo: nella sua quinta edizione del 2013 si legge: “Le cause organiche sono ancora sconosciute”. Non a caso la psichiatria è l'unica specializzazione medica che rende ufficiali le patologie soltanto quando ha a disposizione la molecola individuata come farmaco elettivo. Fra gli esempi più noti il metilfenidato (MPH), brevettato nel 1954 dalla Ciba-Geigy; negli anni '70 negli USA vengono diagnosticati 150.000 casi di deficit attentivo; nel 1980 il DSM-III include questa patologia (ADD), da curare con MPH, alla quale nel 1994 il DSM-IV aggiunge l'iperattività (ADHD). Allargati i criteri diagnostici, nel 1998 si raggiungono i 6 milioni di minori curati con una sostanza che tuttora l'OMS classifica nella stessa tabella delle molecole psicoattive più nocive; gli ultimi dati delle prescrizioni americane si avvicinano agli 11 milioni, a partire dai 2 anni di età, ma le cifre si fanno via via imprecise a causa della tendenza a descrivere comorbidità (diagnosi multiple) con conseguente cocktail farmacologico.
Effetti collaterali molto gravi
Il giro d'affari degli psicofarmaci è talmente elevato che i bilanci delle case produttrici preventivano cause legali e risarcimenti. Questa tendenza è esportata in molti Paesi nonostante aumentino le voci critiche della pediatria, della biologia e della pedagogia; in Italia l'ADHD funge da spartiacque per altre certificazioni, i questionari per lo screening - rinnegati dai medesimi autori dopo anni di diffusione - nei documenti ufficiali di casa nostra sono considerati “strumenti oggettivi”. I fautori della sperimentazione (screening nelle scuole) dei primi anni 2000, che ha riportato nelle farmacie il MPH, sono tuttora i responsabili di Linee guida, Protocolli, Registri dove si afferma che “la mancata disponibilità di interventi psico-educativi non deve essere causa di ritardo nell'inizio della terapia farmacologica”.
Il Registro ADHD è obbligatorio dopo la declassazione del farmaco, ma paradossalmente nel Registro non vengono monitorati tutti i minori ai quali viene prescritto, ma soltanto quelli sottoposti anche a terapia psico-educativa (“trattamento combinato”). In attesa dei dati completi, ci sono pressioni sul Ministero affinché tale Registro venga abolito.
Tutti i dati sul consumo di psicofarmaci in età pediatrica rilevano un aumento esponenziale: l'European Journal of Neuropsychopharmacology, limitatamente agli antidepressivi, denuncia un 40% di incremento in Europa fra il 2005 e il 2012; altri studi confermano questa realtà specificando quanto le percentuali siano sottostimate a causa del ricorso a prescrizioni private o ad acquisti via internet. Queste molecole assunte nell'età evolutiva producono effetti collaterali molto gravi e ledono gli ormoni della crescita; le conseguenze delle cure ormonali supplettive sono ancora poco documentate dalla letteratura medica.
Mentre la verità sui risvolti medicalizzanti ha ancora lati oscuri, raccogliamo le menzogne dei responsabili dei protocolli italiani sull'ADHD quando affermano: “Gli effetti indesiderati sono modesti e facilmente gestibili”, discostandosi nettamente dai giudizi della Food & Drug Administration quando elenca: crisi maniacali e depressive con tentativi di suicidio, gravi affezioni cardiache, diabete, ictus e morte improvvisa.
Le circolari del Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca (Miur) identificano le istituzioni scolastiche come “comunità educanti”, ma se così fosse sarebbero il luogo privilegiato dell'incontro, del dialogo, della scoperta, della creatività dove l'interscambio di dubbi, riflessioni e progettualità non riproponga la disparità verticistica fra chi sa e chi non sa. Luoghi dove educare (nell'etimologia del tirar fuori, stimolare) ed esperire siano una modalità consolidata che, in prospettiva, possa fungere da prevenzione alle difficoltà senza tradurle in “disturbi comportamentali”.
Il dialogo è l'ennesima menzogna se manca la capacità di ascolto e di attenzione ai bisogni. Codificare i conflitti attraverso le categorie cliniche del patologico è il fallimento della relazione: relazione significa fenomenologia, la scommessa meno scontata, quella che parla il linguaggio delle esperienze e del relativismo per antonomasia, l'unica a restituire partecipazione attiva.
Nella scuola pubblica la carenza di spazi di riflessione procura disorientamento: carichi di lavoro elevati, burocrazia, difficoltà a cogliere le priorità nel sovrapporsi di impegni che tolgono energie da dedicare all'insegnamento e alla relazione. Il CESP (Centro studi per la scuola pubblica), cogliendo questa esigenza, organizza corsi di aggiornamento per offrire riflessioni culturali, parallelamente all'attività sindacale COBAS. Fra gli argomenti quello della medicalizzazione degli studenti: in attivo una quindicina di seminari/laboratori molto partecipati, occasioni di interscambio per approfondimenti importanti anche per chi interviene nelle relazioni introduttive.
La difesa dell'autodeterminazione nella relazione educativa e la responsabilità nei confronti delle nuove generazioni ci spinge a svelare le gabbie di menzogna o i “regimi di verità” per dirlo con M. Foucault; rincorrere stereotipi è una deriva disumanizzante. La memoria ci ha tradito a tal punto da voler, a nostra volta, tradire l'infanzia?
Chiara Gazzola
Nella consapevolezza di aver sintetizzato alcuni passaggi, rimando a: C. Gazzola, S. Ortu, Divieto d'infanzia. Psichiatria, controllo, profitto, BFS, Pisa 2018, pp. 94, € 10,00, seconda edizione aggiornata; note e bibliografia in: http://www.bfs.it/edizioni/files/prefazioni/233.pdf
La scuola italiana è ben lungi dall'essere una comunità educante. Tagli alle risorse e aumento di certificazioni dimostrano quanto le difficoltà espresse da ragazze/ragazzi vengano lette come sintomi di malattie e affrontate in termini medici e farmacologici.
<<La verità è la menzogna più profonda.>> Friedrich Nietzsche
La nostra epoca, a causa di una proficua pianificazione, è caratterizzata da un diffuso malessere esistenziale e dal dilagare di menzogne, indorate dal termine anglosassone fake news.
Il trionfo del neoliberismo invade anche tutti i contesti educativi e formativi. La scuola, perdendo i valori pedagogici di attenzione ai diritti e ai bisogni, acquisisce peculiarità aziendali evidenziate da neologismi (debiti, crediti, profitto, competenze, ottimizzazione dei tempi, raggiungimento di risultati): i continui tagli alle risorse inducono a un'elevata competizione fra i plessi con “offerte formative” di addestramento al mercato del lavoro, test di valutazione standardizzati, abolizione di interdisciplinarietà ed elaborazione critica delle conoscenze.
Nella scuola primaria, abolite le compresenze di insegnanti, l'approccio al sapere basato sulla ricerca è spesso sostituito da apprendimenti ottenuti in tempi ristretti e valutati attraverso quiz. Si innesca una concorrenzialità irrispettosa delle complessità tipiche dell'età evolutiva che produce ansia da prestazione e discriminazione fra chi emerge e chi è costretto nelle retrovie.
La tendenza a svilire e soppiantare il sapere umanistico, pedagogia compresa, a favore di applicazioni tecnicistiche si origina dal criterio EBE (Evidence based education, “istruzione basata sull'evidenza”), orientamento ideologico nato in Inghilterra negli anno 1980-'90 sotto i governi Thatcher e Blair, con l'obiettivo di circoscrivere ogni specializzazione accademica all'interno di esigenze produttive. Depauperando la relazione educativa e i percorsi di crescita anche la libertà professionale dell'insegnante è minacciata da un'omologazione che produce un divario fra chi tira i remi in barca e chi sceglie di assumersi gravose responsabilità.
Questo criterio trova coerenza in una selezione della popolazione scolastica, tanto che più si impoveriscono le risorse all'istruzione più aumentano le certificazioni (diagnosi neuropsichiatriche, BES - Bisogni Educativi Speciali, DSA - Disturbi Specifici dell'Apprendimento, cioè dislessie, discalculie ecc. che in Italia sfiorano il 4% della popolazione contraddicendo i riscontri della letteratura neuroscientifica: quanti i falsi positivi?). Si concretizza un'ingerenza delle istituzioni clinico-sanitarie su quelle scolastiche. Il determinismo organicista trova così una sponda fertile per diagnosticare e “curare” soggetti socialmente deboli, discriminando scelte di vita e vincolando approcci pedagogici.
Il coinvolgimento al sapere
In alcuni progetti scolastici e nelle circolari ministeriali si riscontrano ripetutamente lemmi avvincenti, con un'insistenza tale da farli corrispondere ai loro significati opposti. Che senso ha la “soggettività” quando diventa specchio di imposizione di uniformità? È una menzogna affermare che il rispetto per le soggettività debba prevedere un Piano Didattico Personalizzato (PDP) in quanto l'attenzione alle singole esigenze dovrebbe essere intrinseca ad ogni relazione educativa, senza supporti vincolanti. I PDP inducono a ridurre le aspettative tramite strumenti compensativi e dispensativi, producono uno stigma che tramutano una difficoltà momentanea (ad es. la sofferenza dovuta a un trauma, a un lutto o altre esperienze infelici) in cronicità, cioè in un giudizio permanente.
La correlazione fra basso rendimento scolastico e deficit intellettivo/disagio socio-economico è una forzatura ideologica: molte esperienze pedagogiche dimostrano che quando la relazione educativa sa offrire i giusti stimoli, senza imporre criteri formativi e valutativi, il coinvolgimento al sapere si ravviva spontaneamente. Eppure il basso rendimento scolastico viene spesso associato a “comportamenti non gestibili”, diventa cioè un sintomo da ricondurre a un deficit del bambino/a, deresponsabilizzando la didattica.
La “disabilità intellettiva”, nomenclatura ereditata dal DSM-5 (manuale delle malattie mentali, quinta edizione) in sostituzione del “ritardo mentale”, copre il 68,4% delle disabilità certificate.
Nelle cartelle cliniche neuropsichiatriche si trovano espressioni come: deficit di felicità; scarso senso di colpa; difficoltà di codifica delle informazioni sociali; disordine dell'identità; carenza di adattabilità; reazione incontrollata di fronte alle frustrazioni; deficit di empatia; manifestazioni emotive povere/eccessive; propensione innaturale a lasciare la propria patria, quest'ultima dedicata a minori stranieri non accompagnati. C'è da stupirsi se il 12% delle certificazioni riguarda le nuove generazioni migranti?
Minkowski definì l'anomalia come “un elemento di variazione individuale che impedisce a due esseri di potersi sostituire in modo completo”, proponendo un approccio filosofico in grado di superare la dicotomia sano/patologico per affermare quanto sia ipocrita l'imposizione di un giudizio conformante e quanto autoritario il voler ricondurre i comportamenti a una giustezza assoluta che faccia coincidere la normalità con la verità.
Il tentativo di dare una codificazione scientifica alle anomalie di comportamento è vecchio quanto la psichiatria ma, essendo questo un ambito prettamente culturale, le dimostrazioni si avvalgono di giudizi morali che diventano clinici per un atto di magia del marketing. Del resto è il DSM (il manuale delle malattie mentali redatto dalla psichiatria americana) a dichiararlo: nella sua quinta edizione del 2013 si legge: “Le cause organiche sono ancora sconosciute”. Non a caso la psichiatria è l'unica specializzazione medica che rende ufficiali le patologie soltanto quando ha a disposizione la molecola individuata come farmaco elettivo. Fra gli esempi più noti il metilfenidato (MPH), brevettato nel 1954 dalla Ciba-Geigy; negli anni '70 negli USA vengono diagnosticati 150.000 casi di deficit attentivo; nel 1980 il DSM-III include questa patologia (ADD), da curare con MPH, alla quale nel 1994 il DSM-IV aggiunge l'iperattività (ADHD). Allargati i criteri diagnostici, nel 1998 si raggiungono i 6 milioni di minori curati con una sostanza che tuttora l'OMS classifica nella stessa tabella delle molecole psicoattive più nocive; gli ultimi dati delle prescrizioni americane si avvicinano agli 11 milioni, a partire dai 2 anni di età, ma le cifre si fanno via via imprecise a causa della tendenza a descrivere comorbidità (diagnosi multiple) con conseguente cocktail farmacologico.
Effetti collaterali molto gravi
Il giro d'affari degli psicofarmaci è talmente elevato che i bilanci delle case produttrici preventivano cause legali e risarcimenti. Questa tendenza è esportata in molti Paesi nonostante aumentino le voci critiche della pediatria, della biologia e della pedagogia; in Italia l'ADHD funge da spartiacque per altre certificazioni, i questionari per lo screening - rinnegati dai medesimi autori dopo anni di diffusione - nei documenti ufficiali di casa nostra sono considerati “strumenti oggettivi”. I fautori della sperimentazione (screening nelle scuole) dei primi anni 2000, che ha riportato nelle farmacie il MPH, sono tuttora i responsabili di Linee guida, Protocolli, Registri dove si afferma che “la mancata disponibilità di interventi psico-educativi non deve essere causa di ritardo nell'inizio della terapia farmacologica”.
Il Registro ADHD è obbligatorio dopo la declassazione del farmaco, ma paradossalmente nel Registro non vengono monitorati tutti i minori ai quali viene prescritto, ma soltanto quelli sottoposti anche a terapia psico-educativa (“trattamento combinato”). In attesa dei dati completi, ci sono pressioni sul Ministero affinché tale Registro venga abolito.
Tutti i dati sul consumo di psicofarmaci in età pediatrica rilevano un aumento esponenziale: l'European Journal of Neuropsychopharmacology, limitatamente agli antidepressivi, denuncia un 40% di incremento in Europa fra il 2005 e il 2012; altri studi confermano questa realtà specificando quanto le percentuali siano sottostimate a causa del ricorso a prescrizioni private o ad acquisti via internet. Queste molecole assunte nell'età evolutiva producono effetti collaterali molto gravi e ledono gli ormoni della crescita; le conseguenze delle cure ormonali supplettive sono ancora poco documentate dalla letteratura medica.
Mentre la verità sui risvolti medicalizzanti ha ancora lati oscuri, raccogliamo le menzogne dei responsabili dei protocolli italiani sull'ADHD quando affermano: “Gli effetti indesiderati sono modesti e facilmente gestibili”, discostandosi nettamente dai giudizi della Food & Drug Administration quando elenca: crisi maniacali e depressive con tentativi di suicidio, gravi affezioni cardiache, diabete, ictus e morte improvvisa.
Le circolari del Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca (Miur) identificano le istituzioni scolastiche come “comunità educanti”, ma se così fosse sarebbero il luogo privilegiato dell'incontro, del dialogo, della scoperta, della creatività dove l'interscambio di dubbi, riflessioni e progettualità non riproponga la disparità verticistica fra chi sa e chi non sa. Luoghi dove educare (nell'etimologia del tirar fuori, stimolare) ed esperire siano una modalità consolidata che, in prospettiva, possa fungere da prevenzione alle difficoltà senza tradurle in “disturbi comportamentali”.
Il dialogo è l'ennesima menzogna se manca la capacità di ascolto e di attenzione ai bisogni. Codificare i conflitti attraverso le categorie cliniche del patologico è il fallimento della relazione: relazione significa fenomenologia, la scommessa meno scontata, quella che parla il linguaggio delle esperienze e del relativismo per antonomasia, l'unica a restituire partecipazione attiva.
Nella scuola pubblica la carenza di spazi di riflessione procura disorientamento: carichi di lavoro elevati, burocrazia, difficoltà a cogliere le priorità nel sovrapporsi di impegni che tolgono energie da dedicare all'insegnamento e alla relazione. Il CESP (Centro studi per la scuola pubblica), cogliendo questa esigenza, organizza corsi di aggiornamento per offrire riflessioni culturali, parallelamente all'attività sindacale COBAS. Fra gli argomenti quello della medicalizzazione degli studenti: in attivo una quindicina di seminari/laboratori molto partecipati, occasioni di interscambio per approfondimenti importanti anche per chi interviene nelle relazioni introduttive.
La difesa dell'autodeterminazione nella relazione educativa e la responsabilità nei confronti delle nuove generazioni ci spinge a svelare le gabbie di menzogna o i “regimi di verità” per dirlo con M. Foucault; rincorrere stereotipi è una deriva disumanizzante. La memoria ci ha tradito a tal punto da voler, a nostra volta, tradire l'infanzia?
Chiara Gazzola
Nella consapevolezza di aver sintetizzato alcuni passaggi, rimando a: C. Gazzola, S. Ortu, Divieto d'infanzia. Psichiatria, controllo, profitto, BFS, Pisa 2018, pp. 94, € 10,00, seconda edizione aggiornata; note e bibliografia in: http://www.bfs.it/edizioni/files/prefazioni/233.pdf
sabato 4 aprile 2020
Aktion T4 2.0
In questi giorni abbiamo vissuto sulla nostra pelle questo brutto cliente, ovvero il Covid-19. Chi più chi meno e vivendo dove viviamo ce lo siamo beccato e c'è chi ha faticato non poco per venirne fuori (recidive permettendo). Purtroppo tante persone sono venute a mancare ed altre se ne aggiungeranno , qui montagne e paesi piangono quotidianamente e questo lo sapete già un po' tutti e tutte.
Abbiamo pertanto letto e condiviso le varie notizie di situazioni in atto, notando ancora una volta come la scelta della 'cura psichiatrica' per chi infrange i vari coprifuochi sia la più in voga. Ancora una volta, però, arriva dagli States l'inclinazione alla 'cura nazista' che tanto bene si sposa con la suddetta tendenza...
Si pensa che l'eugenetica e le 'morti pietose' di hitleriana memoria siano qualcosa di distante da noi e ormai relegato al passato. Eppure in una situazione di grave emergenza sanitaria e l'ancor più grave privazione di diritti alla vita ed alla libertà come quella che il mondo sta attraversando scopriamo che esse ritornano sotto una nuova veste, quella delle 'morti accettabili'. Trattasi di persone 'spendibili' perché con situazioni di salute già compromessa o perché in età avanzata. Il criterio che si usa in molti paesi, purtroppo anche in Italia, è quello di dare precedenza a pazienti giovani e con un quadro clinico positivo, quindi membri produttivi della società, negligendo le cure a pazienti con patologie pregresse e anziani. Molti Stati in USA hanno esplicitato anche i loro criteri di scelta riguardo alle persone disabili, affermando che "disabili psichici sono candidati improbabili per il supporto alla respirazione" allargando la cerchia degli esclusi anche a persone con disabilità...
Il tutto con buona pace del Giuramento Di Ippocrate e di tutta una serie di immagini idealizzate di una medicina che sostiene di preferire 'il male minore' quando il concetto di male viene non solo ricavato da un'ottica neanche più soggettiva quanto orientata ad una scelta ancora una volta produttiva.
In questi giorni nei quali c'è molto da riflettere e si sprecano i termini nei vari bombing mediatici vale la pena di mettere in luce lo schifo del modello americano al quale, più volte, i nostri politicanti hanno fatto riferimento strizzando l'occhio e neanche troppo velatamente hanno dichiarato di voler ambire. Oltre ai 17enni che muoiono per il covid-19 dato che non sono coperti da assicurazione ed i tanti casi silenziosi di morti che non possono permettersi un minimo di cure si aggiunge l'affermarsi dell'eugenetica mascherata da scelta inevitabile. Ci risiamo... Aktion T4 2.0.
Riportiamo in calce la notizia ripresa da alcuni media mainstream (alcuni particolarmente pessimi), dai quali come al solito ci dissociamo dalla linea e dal linguaggio utilizzato; ad ogni modo, se riportano loro la notizia non è difficile immaginare che la realtà delle cose sia (se possibile) anche peggio.
https://corrieredellumbria.corr.it/news/coronavirus/1543049/stati-uniti-usa-ospedali-protocolli-scegliere-chi-salvare-respiratori-disabili-niente-10--discriminazione-new-york-times-avvenire-inchiesta.html
https://m.ilgiornale.it/news/coronavirus-usa-ora-si-sceglie-chi-salvare-disabili-rischio-1846270.html
Abbiamo pertanto letto e condiviso le varie notizie di situazioni in atto, notando ancora una volta come la scelta della 'cura psichiatrica' per chi infrange i vari coprifuochi sia la più in voga. Ancora una volta, però, arriva dagli States l'inclinazione alla 'cura nazista' che tanto bene si sposa con la suddetta tendenza...
Si pensa che l'eugenetica e le 'morti pietose' di hitleriana memoria siano qualcosa di distante da noi e ormai relegato al passato. Eppure in una situazione di grave emergenza sanitaria e l'ancor più grave privazione di diritti alla vita ed alla libertà come quella che il mondo sta attraversando scopriamo che esse ritornano sotto una nuova veste, quella delle 'morti accettabili'. Trattasi di persone 'spendibili' perché con situazioni di salute già compromessa o perché in età avanzata. Il criterio che si usa in molti paesi, purtroppo anche in Italia, è quello di dare precedenza a pazienti giovani e con un quadro clinico positivo, quindi membri produttivi della società, negligendo le cure a pazienti con patologie pregresse e anziani. Molti Stati in USA hanno esplicitato anche i loro criteri di scelta riguardo alle persone disabili, affermando che "disabili psichici sono candidati improbabili per il supporto alla respirazione" allargando la cerchia degli esclusi anche a persone con disabilità...
Il tutto con buona pace del Giuramento Di Ippocrate e di tutta una serie di immagini idealizzate di una medicina che sostiene di preferire 'il male minore' quando il concetto di male viene non solo ricavato da un'ottica neanche più soggettiva quanto orientata ad una scelta ancora una volta produttiva.
In questi giorni nei quali c'è molto da riflettere e si sprecano i termini nei vari bombing mediatici vale la pena di mettere in luce lo schifo del modello americano al quale, più volte, i nostri politicanti hanno fatto riferimento strizzando l'occhio e neanche troppo velatamente hanno dichiarato di voler ambire. Oltre ai 17enni che muoiono per il covid-19 dato che non sono coperti da assicurazione ed i tanti casi silenziosi di morti che non possono permettersi un minimo di cure si aggiunge l'affermarsi dell'eugenetica mascherata da scelta inevitabile. Ci risiamo... Aktion T4 2.0.
Riportiamo in calce la notizia ripresa da alcuni media mainstream (alcuni particolarmente pessimi), dai quali come al solito ci dissociamo dalla linea e dal linguaggio utilizzato; ad ogni modo, se riportano loro la notizia non è difficile immaginare che la realtà delle cose sia (se possibile) anche peggio.
https://corrieredellumbria.corr.it/news/coronavirus/1543049/stati-uniti-usa-ospedali-protocolli-scegliere-chi-salvare-respiratori-disabili-niente-10--discriminazione-new-york-times-avvenire-inchiesta.html
https://m.ilgiornale.it/news/coronavirus-usa-ora-si-sceglie-chi-salvare-disabili-rischio-1846270.html
venerdì 3 aprile 2020
La psichiatria ai tempi del covid-19
Scritto dainfosu 1 Aprile 2020
Il Collettivo Antipsichiatrico Artaud di Pisa cerca di dare una continuità al proprio lavoro di ascolto attraverso uno sportello telematico, telefonico o virtuale. Non solo per chi già seguiva un percorso di terapia, ma anche a tutti/e coloro che vivono la quarantena in isolamento o con condizioni familiari difficili.Oggi i CIM (centri di igiene mentale) si limitano alla distribuzione di psicofarmaci, mentre tutti i servizi d’ascolto e di assistenza sono sospesi. Mentre sulle residenze psichiatriche è calato un silenzio totale, non si sa qual’è la reale condizione dei detenuti, se vengono applicate o meno le misure di sicurezza e, soprattutto, se c’è una possibilità di farli uscire.
Questa auto-detenzione forzata ha forti ripercussioni sulla stabilità mentale delle persone e in tanti/e si affidano agli psicofarmaci (soprattutto antiansiolitici e antidepressivi) per sostenere questa situazione. Al contempo aumentano i casi di TSO, dunque di somministrazione forzata di psicofarmaci, anche in chiave repressiva come s’è palesato a Salerno, dove ad un pestaggio da parte delle forze armate è conseguito il Trattamento Obbligatorio per il fermato. L’uso di psicofarmaci crea una forte dipendenza, le prospettive della “cura” all’epidemia potrebbero essere più nefaste della malattia stessa. Gli psicofarmaci oltre ad essere un business delle case farmaceutiche sono un vero e proprio strumento di controllo. Questo paradigma si amplifica nei luoghi di reclusione, dove l’isolamento forzato e la volontà repressiva delle guardie, favorisce l’uso dei medicinali pschiatrici come strumento di sopportazione e contenimento.
In questo momento è negata la radice umana della vita: sono preclusi il tempo, lo spazio e le relazioni sociali, mentre siamo bombardati da informazioni terroristiche imperniate da un linguaggio bellico e costretti nello svago, nell’intrattenimento e nel lavoro a relazionarci unicamente con degli schermi che, oltre ad essere causa di svariati disturbi, celano anche un sofisticato controllo.
Spesso le leggi d’emergenza diventano norma, il pericolo è vedere prorogate le limitazioni alla libertà. Probabilmente i primi luoghi a ripartire saranno i luoghi di lavoro, specialmente le fabbriche, per cui le prime forme di relazioni saranno mediate dal rapporto lavorativo e dai ritmi e le gerarchie insite in queste. Oltretutto questa quarantena ha creato sfiducia e sospetto verso il proprio vicino, recidendo ancor di più i legami sociali già logorati dall’isolamento.
Le opportunità dobbiamo costruircele a partire dall’ascolto, dal creare relazioni e percorsi di solidarietà, solo in questo modo potremo combattere l’isolamento a cui ci voglio confinare e i disturbi che da esso derivano
Ne parliamo con Diego del coll. Antipsichiatrico Artaud, in seguito riportiamo anche il link della campagna d’ascolto promossa dallo stesso
https://artaudpisa.noblogs.org/
Link per ascoltare l'intervista:
https://radioblackout.org/2020/04/58821/
giovedì 2 aprile 2020
CORONA VIRUS, ORDINANZE E MARGINALITÀ
Non siamo tuttx sulla stessa barca,
chi ha un minimo di coscienza lo ha capito, che il virus, le ordinanze,
non assumono lo stesso valore per tuttx, perchè appunto, non abbiamo
tuttx gli stessi privilegi.
“Prima denuncia penale a Nerviano per la
violazione del decreto contro la diffusione del contagio: la Polizia
Locale blocca venditore di fiori”
La prima denuncia penale – ora sanzione amministrativa – è andata ad un venditore di fiori.
Ne seguono molte altre:
https://www.repubblica.it/cronaca/2020/03/15/news/coronavirus_clochard-251367827/
https://bologna.repubblica.it/cronaca/2020/03/15/news/coronavirus_prostituta_denunciata_due_volte_a_ravenna_sto_lavorando_anche_io_-251346477/
https://www.open.online/2020/03/18/coronavirus-ecco-le-denunce-ai-senzatetto-basta-multe-chi-una-casa-non-ce-lha-cosa-fa-e-la-puglia-apre-le-casette/
https://www.repubblica.it/solidarieta/2020/03/21/news/coronavirus_e_senza_tetto-251909608/
https://www.repubblica.it/cronaca/2020/03/15/news/coronavirus_clochard-251367827/
https://bologna.repubblica.it/cronaca/2020/03/15/news/coronavirus_prostituta_denunciata_due_volte_a_ravenna_sto_lavorando_anche_io_-251346477/
https://www.open.online/2020/03/18/coronavirus-ecco-le-denunce-ai-senzatetto-basta-multe-chi-una-casa-non-ce-lha-cosa-fa-e-la-puglia-apre-le-casette/
https://www.repubblica.it/solidarieta/2020/03/21/news/coronavirus_e_senza_tetto-251909608/
Ma chi non ha documenti, chi è senza casa, outsider, marginalità, chi accesso a salute, tutele e informazioni corrette non ne ha? Come fa?
Persone che hanno avuto problemi con la
giustizia e che si trovano in strada per condizione o necessità,
rischiano un’ulteriore inasprimento della loro condizione, dal punto di
vista giudiziario e della salute. Che ripercussioni avrà questo ‘stato
di emergenza su chi vive già in condizione di isolamento ed esclusione?
Quali azioni di solidarietà, mutuo-aiuto e resistenza mettere in campo?
Distribuire cibo e presidi di salute di
riduzione del danno in modo autogestito è impossibile senza incorrere in
sanzioni. Le reti che potrebbero attivarsi faticano per la paura legata
alle ordinanze, altre attendono burocrazie, presidi di protezione e
permessi. Senza coordinarsi con le istituzioni sembra impossibile
muoversi. Chi lavora non viene garantito e chi vorrebbe fare mutuo-aiuto
é legato. Serve un’autorizzazione per tutto. Impossibile stare in
strada.
Vicinato solidale? Attenzione alle
‘motivazioni’ in caso di fermo, fare la spesa al vicino no, fare la
spesa al vicino mentre si fa la propria si.
L’autogestione della solidarietà si sta ponendo il problema di come muoversi in questo contesto.
Il timore è una solidarietà
strumentalizzata, che rischia di tirare acqua al mulino della narrazione
istituzionale che sta passando, quella del ‘tutti sulla stessa barca’,
‘vicini si può fare’, dell’assitenzialismo e della solidarietà che
sopperiscono alle mancanze di chi ci toglie, spazio, aria, vita tutti i
giorni.
Le amministrazioni mangeranno sopra allo
sforzo della cittadinanza’ mentre un sacco di lavoratrici e lavoratori
pagheranno l’emergenza.
Il livello di ‘paranoia’ nell’incontro
con altrx fuori casa é altissimo, le persone si sentono investite del
potere di sceriffo temporaneo della città e denunciano chi vedono in
giro.
Inchiesta autogestita e diretta
sui servizi sociali, sanitari e di riduzione del danno nei giorni
dell’emergenza, con particolare attenzione all’area bolognese:
Questa inchiesta è una raccolta di
testimonianze dirette di operatori, famigliari e utenti dei servizi
sociali e sanitari di Bologna dall’inizio della pandemia da Covid19 ad
oggi. Ognuna di esse racconta storie vissute personalmente sulla nostra
pelle o su quella dei nostri amici, parenti o vicini di casa. Piccole
storie di ordinario disagio che dipingono un quadro di desolazione umana
e sociale che nessuna emergenza dovrebbe oscurare. La loro raccolta e
visibilità è uno dei propositi fondanti di questo progetto insieme al
loro costante aggiornamento.
Dalle informazioni che abbiamo raccolto
nei reparti ospedalieri di Bologna, un numero crescente di persone
ritenute ‘problematiche a livello comportamentale’, seppur ricoverate
per problemi di natura clinica, ossia patologie diagnosticabili su basi
oggettive, vengono ‘gestite’ psichiatricamente e tenute sotto
‘sorveglianza’; ‘compito’ che si traduce in contenzione meccanica e
farmacologica. Questa situazione, sebbene estremizzata dall’allarme, di
fatto è una prassi sommersa, ma ordinaria e collaudata, all’interno
degli ospedali – e non solo negli Spdc – che ‘denunciamo‘ da lungo tempo.